Maria Corti - La ragazza che si innamorò di Dante
«Maria Corti è morta l'altra notte, ancora in piena attività di studiosa e di scrittrice. Era nata a Milano nel 1915. Ebbe una vita travagliata: presto orfana di madre, visse a lungo in collegio, mentre il padre, ingegnere stradale, lavorava in Puglia. Dopo le due lauree (la seconda in filosofia), insegnò nelle scuole secondarie di Chiari, poi di Como, poi di Milano; facendo per anni la spola con Pavia, dov'era incaricata all'Università.
«Anni di fatiche (insegnamento e lavoro scientifico) e di scomodi viaggi in terza classe con gli operai pendolari, viaggi raccontati nel suo romanzo Il trenino della pazienza, che fu pubblicato molto tardi rimaneggiato e con diverso titolo (Cantare nel buio, 1991). Infatti, dopo una tesi di latino medievale, Studi sulla latinità merovingia, la Corti, lontana dal maestro Benvenuto Terracini (esiliato nel 1938), s'era dedicata interamente all'insegnamento e alla scrittura creativa.
«Fu Terracini, tornato in patria dopo la guerra, a stimolarla a riprendere l'attività di ricerca, stavolta nel campo della Storia della lingua italiana. La Corti recuperò velocemente gli anni perduti (in cui, oltre a insegnare, aveva svolto attività antifascista, col gruppo di allievi di Antonio Banfi, suo secondo maestro).
«Entrata nella carriera universitaria, ebbe la cattedra della sua disciplina prima a Lecce, poi a Pavia (dove contribuì a creare la cosiddetta «scuola di Pavia»).
«Pur operando in condizioni difficili, preparò studi decisivi sulla morfologia e sulla sintassi poetica italiana delle origini (1958) e sui dialetti emiliano, veneto e lombardo antichi, ed edizioni importanti, come quelle del poeta napoletano Jacopo de Jennaro (1956) e della bolognese Vita di san Petronio (1962).
«La sua prima raccolta di saggi, Metodi e fantasmi (1969), porta già i segni della nuova critica strutturalistica, che la Corti abbracciò con grande giudizio, e non rinunciando a un gusto saggistico appreso dai critici francesi. Bellissimi e rivelatori, in questa raccolta, i lavori sulle redazioni dell'Arcadia di Sannazaro, uno dei testi che le furono più cari; o l'identificazione dell'autore del Delfilo. Vennero poi i Principi della comunicazione letteraria (1976); volume poi quasi raddoppiato nell'edizione del 1997) e il Viaggio testuale (1978); qui la dottrina è ormai consolidata, ma sempre applicata con grande duttilità.
«Basta vedere i vari articoli dedicati al problema dei generi letterari, in cui il senso storico, e in particolare la competenza sul pensiero medievale, sorreggono l'equilibrata formalizzazione.
«La Corti affiancava spesso studi su autori delle origini ad analisi di contemporanei (quali Bilenchi e Calvino), com'era naturale per una scrittrice in proprio; che tra l'altro gli scrittori li frequentava anche personalmente: basta ricordare Montale.
«Da ultimo aveva polarizzato la sua attenzione sulle vicende redazionali dell'opera di Fenoglio, della quale preparò anche l'edizione critica (1978), discutendo più volte i problemi di sviluppo, di derivazione e di datazione dei vari manoscritti; e su problemi della poesia duecentesca e di Dante. Lo studio dell'aristotelismo radicale, e in particolare dei logici «modisti», le permise di gettare una luce nuova sui testi d'un poeta, Guido Cavalcanti, che già prima era stato oggetto della sua attenzione, e di chiarire le idee linguistiche di Dante.
«Splendidi i volumi Dante a un nuovo crocevia (1981), Percorsi dell'invenzione (1993) e La felicità mentale (1983); i quali tra l'altro comunicano al lettore questa stessa, limpida felicità della scoperta. Che era anche felicità di definire: tipica infatti della Corti la capacità di trovare formule apodittiche, leggermente scherzose, come «transcodificazione indolore», «luoghi mentali» o simili. Non va poi dimenticato che la Corti scrisse anche libri per l'insegnamento nelle scuole superiori: citiamo almeno l'innovativa grammatica Una lingua per tutti (1978), elaborata con alcuni giovani collaboratori. Era fondatrice e direttrice o condirettrice di riviste come Strumenti critici e Autografo, e della più militante Alfabeta; collaborava a «la Repubblica».
«Infine, come naturale, era accademica della Crusca. La Corti era particolarmente fiera della creazione del Fondo manoscritti di autori moderni e contemporanei presso l'Università di Pavia. Questo Fondo, formato in origine di lasciti e donazioni di scrittori, si è poi allargato anche ad autori classici come il Foscolo, ed è ora una delle più consistenti raccolte di stesure autografe, bozze corrette, corrispondenze di scrittori italiani degli ultimi due secoli. Ma è anche diventato subito un'officina in cui si studiano geneticamente opere importanti della nostra letteratura, specie contemporanea, o si affrontano problemi biografici.
«Credo però che il capolavoro della Corti sia stato il suo insegnamento: per la sua capacità di comunicare non solo sul piano metodologico, ma su quello umano. Maestra e madre, per tanti allievi. Oggi la piangono un'infinità di suoi discepoli, dalle scuole secondarie, da cui prese il volo, alle università. Sono centinaia e centinaia le persone che dalla Corti hanno imparato la serietà del metodo, ma soprattutto l'apertura verso gli altri, il disinteresse, la generosità. E anche l'ottimismo.»
(C. Segre, Maria Corti - La ragazza che si innamorò di Dante, «Corriere della Sera», 24 febbraio 2002)
Prefazione a Tra il cristallo e la fiamma
Mai Italo Calvino avrebbe immaginato che dalle sue Lezioni americane sarebbero nate tante suggestioni e addirittura unvastissimo discorso teorico-critico definibile in termini medievali una summa. Nei suoi testi crescono le dimensioni fantastiche dell’invenzione e chiunque abbia letto tesi di dottorato, dedicate alle Lezioni americane, è al corrente sui problemi del genere saggistico, dello stile, della disposizione stilistica come arma argomentativa, della prassi citazionale, ma con la ricerca di Adriano Piacentini la realtà è un’altra: il menage à trois di letteratura, filosofia e scienza, passa qui al vaglio dell’io di uno studioso che ha rivissuto la vicenda calviniana, misurandosi col fascino di una summa letteraria Occidentale con tutte le sue tensioni cognitive.
Il nostro commentatore si sofferma a spiegare l’arditissimo ordito polifonico, che si regge sull’ambivalenza dei concetti portanti. In più di un caso egli collega le nuove performances a quelle del romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore, come dire alla vorticosa teoria dei mondi possibili, che tanti segni di sé offre nel corso delle Lezioni americane. Su questa nuova via di pensiero, che il nostro commentatore mette bene in luce, il mondo di Calvino diventa un mondo infinito, retto da un vortice ricorsivo. In tale nuova direzione le Lezioni americane sono il libro culmine di Calvino e perciò anche il libro tragico, oltre il quale la sua mente non ha retto. La mente, che troppo aveva visto del mondo, si è fermata per il peso del vivere e vedrei come una straordinaria risposta a questo tragico destino, che lascia interrotte le Lezioni, la grandiosa impresa del commentatore, chiarificatrice dei concetti di leggerezza, del “passo danzante di Mercuzio”, dove trionfa la grazia dell’humour e dell’immaginazione trasognata.
Avrebbe poco senso uno specifico commento a questa grandiosa summa, la quale già nella sua vastità commenta di per sé l’intertestualità critica delle Lezioni e le varie modalità di testualizzazione delle auctoritates. Si pensi al racconto del mito di Perseo e Medusa. L’evocazione nelle varie serie di testi ha per fine di produrre nel lettore l’identificazione del mito con la letteratura. Calvino sa, e lo ha scritto, che la funzione dei Classici non è solo quella di essere indimenticabili, ma di mimetizzarsi in inconscio collettivo e individuale. Nelle sue Lezioni egli si è fatto portavoce di una memoria collettiva da rendere attuale, viva, presente nell’intellettuale d’oggi a tutte le latitudini culturali. Siamo di fronte a un Calvino mitico e razionale al contempo. Il suo discorso è tutto giocato sulla ambiguità di questo doppio, di cui già tanti segni hanno offerto le Cosmicomiche e la Lezione sulla “leggerezza”, dove la letteratura si fa “proiezione del desiderio”.
A Calvino piacerebbe questa summa, che ha reso il proprio messaggio un prezioso patrimonio personale e collettivo, sempre più vicino a quello che lo scrittore ha voluto dire.
Maria Corti
3 Ombre dal fondo
Esiste a Pavia un luogo singolare, popolato da ombre immerse in una temporalità diversa da quella dei viventi. Quel luogo ha un nome e una storia: si chiama “Fondo Manoscritti di autori moderni e contemporanei” ed è nato e cresciuto grazie ai sogni e alla tenacia di Maria Corti. Lí si conservano e si studiano i testi autografi dei maggiori scrittori dell'Otto e del Novecento, lí i viventi intrecciano le loro storie con quelle di chi non è piu al mondo ma vi ha lasciato una traccia.
In questo testo creativo Maria Corti, nella sua doppia veste di narratrice e di studiosa, evoca vicende del Fondo, divenuto nel corso degli anni una delle piú vive realtà culturali italiane. Ed evocando dispensa testimonianze e aneddoti di prima mano su famosi scrittori, vedove votate alla gloria letteraria dei propri mariti, banchieri generosi, personaggi maggiori e minori che si incrociano come in un testo sinfonico, con tempi, ritmi e movimenti musicali di volta in volta diversi. Ombre dal Fondo è esempio di un raro genere letterario, una sorta di sinfonia evocativa. Coagula con originalità riflessioni sulla letteratura e sulla “materia” di cui la letteratura è fatta: il manoscritto d'autore, con i tratti a penna che definiscono una grafia, le correzioni, a volte i disegni che lo corredano, diventa la chiave d'accesso per sondare quello che Maria Corti chiama “avantesto”, cioè la scaturigine, esistenziale oltreche letteraria, dell'invenzione creativa. Perché “al tocco giusto dello sguardo, gli occhi guardano il visibile, le Carte, e allo stesso posto vedono l'invisibile”. Ombre dal Fondo, infine, è anche una rassegna di interventi critici su una serie di scrittori fra i piu amati dall'autrice, da Montale a Bilenchi, ad Amelia Rosselli. Una critica, quella disseminata in questo libro, che non ha mai nulla di astratto ma si nutre della presenza fantasmatica degli scrittori e delle loro Carte, come in un concretissimo colloquio che tocca nel profondo le ragioni della letteratura.
La presente pagina fa parte di un ipertesto sulle Lezioni americane di I. Calvino e sulle Metamorfosi di Apuleio.