1 L’alchimia: l’immaginario della psiche
Non si deve pensare a un valore utilitaristico dell’oro cercato dagli alchimisti, né all’alchimia come a una sorta di chimica primordiale, anche se passa delle intuizioni alla scienza sperimentale, perché la Grande Arte (Opus magnum era chiamata l’alchimia) risponde a una concezione del mondo in cui piante, pietre, animali e lo stesso pensiero non sono che fasi di un unico processo cosmico di trasmutazione verso la perfezione, rappresentata per la materia dall’oro e per l’uomo dallo stato di immortalità che il possesso della pietra filosofale consente di raggiungere.
L’artefice-filosofo si inserisce in questo processo cosmico: attraverso l’elevazione spirituale che l’opus gli consente, diventa partecipe della stessa forza creatrice divina, annullando l’intervallo temporale che separa lo stadio attuale imperfetto della materia dalla condizione finale di perfezione. Le trasformazioni prodotte nella materia diventano allora segno tangibile e simbolo della sua elevazione spirituale, che gli consente di progredire nelle fasi dell’opus in un processo ciclico inesauribile.
L’atteggiamento del filosofo-artefice di fronte alla materia e alle trasformazioni che cerca, come si può vedere, è tutt’altro che scientifico; è un atteggiamento immaginario, nel senso che è guidato da tensioni e impulsi provenienti dalla psiche. Analogamente all’astrologia che proietta nelle stelle le intuizioni di tipo psicologico, collegando ad esse comportamenti e tratti del carattere, l’alchimia trasferisce alla materia i simboli dell’immaginario collettivo, di un immaginario alimentato, all’apparire dell’alchimia, dal fiorire dei culti misterici. E allo stesso modo del dio che deve soffrire, morire e risorgere per dare origine alla redenzione, la trasmutazione della materia deve avvenire attraverso queste fasi definite sin dalla più antica letteratura alchemica.
Le opere alchemiche, come tutta la letteratura ermetica, trovano ampio sviluppo nei primi secoli dopo Cristo; l’opera più antica risale al secondo-primo secolo a. C.
2 Le fasi dell’opus
La trasmutazione si ottiene facendo passare la materia attraverso quatro fasi designate dai colori assunti dai componenti. La prima è la nigredo o melanosi o putrefactio contrassegnata dal nero che simboleggia la morte; la seconda è l’albedo, la coagulazione della materia, contrassegnata dal bianco; la terza la citrinitas contrassegnata dal giallo. L’ultima è la rubedo contrassegnata dal rosso, dall’oro della pietra filosofale.
Per la forte carica immaginaria, una complessa simbologia sedimentatasi nel tempo gravita attorno all’alchimia: la grande madre, la creazione, la morte, la resurrezione, il maschio, la femmina, il Rebis, tutta la catena degli opposti, il ritorno ciclico degli eventi naturali e umani, tutte le corrispondenze e simpatie indagate dalla magia...
Ma al di là della simbologia e dell’attribuzione dei significati, lo schema di fondo resta immutato, come la stretta connessione tra l’evoluzione della materia e l’elevazione spirituale dell’operatore.
La nigredo sia essa un regressus ad uterum o il ritorno al caos primordiale è la morte, il ritorno alla materia prima senza la quale non è possibile la resurrezione (albedo), né il percorso verso la perfezione (citrinitas), né il raggiungimento della pietra filosofale. La componente misterica è rimasta in tutta la sua portata: la materia attraverso le torture e la morte risuscita a nuova vita, diventa oro, simbolo dell’immortalità.
3 L’alchimia nel Rinascimento
Non può sorprendere allora se l’alchimia rinascimentale costruisce un parallelismo tra la redenzione operata dalla morte e resurrezione di Gesù Cristo nel microcosmo e la redenzione operata dall’alchimia nel macrocosmo, identificando la pietra filosofale con Cristo.
La credenza nella trasmutazione dei metalli è rimasta viva in tutto il Rinascimento e sopravvive non solo in personalità che hanno vissuto la contraddittorietà della transizione verso la rivoluzione scientifica, ma anche in chi ci è noto proprio per la forza innovativa delle sue scoperte.
Jonn Dee diceva di essere in possesso del segreto della trasmutazione, Cardano credeva la miniera una pianta, con radici tronco e rami, coperta di terra; Bacone riferisce di una qualità di ferro dell’isola di Cipro che frantumato e sepolto vegeta e cresce; Paracelso, Comenio, Newton come Dee e Fludd vedono nell’alchimia il modello per la realizzazione di un progetto di sintesi di tutto il sapere.
La tensione degli alchimisti rinascimentali verso la perfezione assume toni di particolare suggestione nelle ricerche in campo biologico, in particolare nella medicina.
Si dichiaravano in grado di realizzare la palingenesi[1] di una pianta, di ottenere elisir capaci di contrastare il processo di invecchiamento, di curare ogni genere di malattia, di poter raggiungere uno stato di perfezione da renderli insensibili agli stimoli della fame, di poter raggiungere una dimensione extraspaziale ed extratemporale.
Ma l’operazione biologica teorizzata dall’alchimia, di gran lunga la più significativa e carica di significati simbolici, resta la fabbricazione dell’homunculus: la realizzazione della vita in laboratorio, dove l’attribuzione alla materia di istanze provenienti dalla psiche si carica della forza creatrice divina.
4 Alchimia e cabbala
La proiezione degli archetipi nella materia consente una compenetrazione tra uomo e materia tale che il conseguimento dell’oro, ossia l’operazione somma dell’alchimia, coincide con il raggiungimento della pietra filosofale ossia di un quadro di ricchezza spirituale molto simile alla forza creatrice divina.
In ciò l’alchimia corrisponde alla cabbala. Se il cabalista attraverso la contemplazione della parola divina, il Verbo, con il quale Dio aveva creato l’universo diventa partecipe della sua forza creatrice, il filosofo artefice con la pietra filosofale raggiunge lo stesso potere.
5 L’eredità dell’alchimia
Con il diffondersi del metodo scientifico l’alchimia come la magia e gli altri filoni dell’ermetismo perdono di attualità e le sue conoscenze empiriche entrano nel sostrato della nuova scienza: la chimica.
Secondo Mircea Eliade[2] non è nella chimica però che si deve ricercare l’eredità dell’alchimia, le cui intuizioni ed esperienze sotto il profilo chimico, per quanto consistenti, sono frammenti rispetto all’influenza esercitata dagli ideali alchemici nella formazione dell’uomo moderno e contemporaneo.
È nell’uomo del XIX secolo, nel suo mito del progresso illimitato, nella missione dell’uomo come dominatore della natura, che possa fare meglio e più in fretta della natura, nei programmi delle società industriali, che mirano alla trasmutazione totale della natura in energia: è in questo dogma da ricercare la ripresa autentica del sogno degli alchimisti.
È ovunque risplenda la fede nelle possibilità illimitate dell’homo faber ovunque si manifesti il significato escatologico del lavoro, della tecnica, dello sfruttamento scientifico della natura: nelle ideologie letterarie di Balzac, di Hugo, dei naturalisti, nei sistemi economici capitalista, liberale e marxista, nel positivismo.
Nella storia della cultura gli alchimisti, nel loro desiderio di sostituirsi al tempo, hanno anticipato quanto vi è di essenziale nell’uomo moderno.
Ma con una differenza.
L’alchimista temeva il tempo e ne esorcizzava l’irreversibilità reiterando nei suoi apparecchi caos primordiale e cosmogonia, ricercando l’immortalità della pietra filosofale.
Ma quando le scienze chimiche e fisiche hanno reso possibile il dominio del tempo ad un’intera società, quando il lavoro non rispondeva a una liturgia ma veniva misurato in ore ed in unità di energia, non è stato possibile evitare che l’uomo percepisse il senso della sua temporalità, che si identificasse con il tempo, inserendo nella sua filosofia non solidale con l’ideologia giudaico-cristiana, il dogma della irreversibilità e della vacuità del tempo, traducendosi nella coscienza tragica della vanità dell’esistenza.
«Le passioni, le immagini. i miti, i giochi, gli svaghi, i sogni» hanno evitato l’estensione di questa coscienza tragica oltre il piano filosofico.
L’altra grande rivoluzione nella storia dell’umanità, il passaggio all’agricoltura, ha impiegato millenni per sedimentarsi e spegnere la spiritualità, i miti, le credenze morali del mondo dei cacciatori nomadi: quale sarà lo sbocco della nuova rivoluzione?
[1] La rigenerazione della pianta come individuo vivo, partendo dalle sue ceneri.
La palingenesi è una concezione presente in molte filosofie antiche (orfismo, pitagorismo, stoicismo) e in molte religioni; nel cristianesimo, per esempio, l’umanità viene riscattata dal sacrificio di Cristo.
[2] Cfr. M. Eliade, Arti del metallo e alchimia, Torino, Boringhieri 1987.
Voci correlate
La presente pagina fa parte di un ipertesto sulle Lezioni americane di I. Calvino e sulle Metamorfosi di Apuleio.