1 Il libro come metafora della natura
Nella Leggibilità del mondo (H. Blumenberg, La leggibilità del mondo, Introduzione di R. Bodei, il Mulino, Bologna 1984) Blumenberg ripercorre l'apparire e l'evolversi della metafora della leggibilità del mondo ossia l'intendere la natura, e i fenomeni attraverso cui essa si manifesta, come un libro aperto, i cui caratteri non aspettano che di essere decifrati.
Le condizioni per la metafora della leggibilità della natura appaiono per la prima volta presso il «popolo del Libro», gli Ebrei, non solo perché nella loro cultura è consolidata una antica civiltà della scrittura, ma anche perché, caratteristica questa assente nella società greca, è radicata la tenace idea che nella scrittura si celi qualcosa di nascosto, che soltanto la casta sacerdotale degli eletti è delegata a svelare.
Ma il Dio degli Ebrei e dei primi cristiani preferisce, al modo indiretto del libro della natura, parlare in modo più immediato attraverso la parola della Bibbia, il libro per eccellenza.
Soltanto nel tardo medioevo la metafora del Libro della natura prende consistenza innescando l'infinita disputa su concordanza o discordanza tra natura e Bibbia, che porterà alla loro contrapposizione e al rifiuto della “verità” scritta nei libri in favore dell'osservazione diretta della natura e dell'esperimento.
La tesi di Galileo secondo cui la natura è un libro scritto da Dio in linguaggio matematico sembrerebbe rilanciare la metafora della leggibilità, ma in realtà è un accorto mimetismo con cui Galileo confonde gli avversari, scendendo sul loro stesso terreno, tanto è vero che privilegia senza riserve il linguaggio della natura e l'esperimento — si veda il Saggiatore) —, per niente misteriosi e accessibili a tutti.
La metaforica del libro, bandita dalla scienza del telescopio e del microscopio, si prende la sua rivincita nelle ardite volute della letteratura barocca.
Al tentativo di Leibniz di semplificare la leggibilità attraverso l'ambizioso programma della characteristica universalis, segue l'introduzione di un terzo libro - il libro della storia - che Vico e Lichtenberg affiancano alla Bibbia e al libro della natura.
L'interscambiabilità della Bibbia e del libro della natura, rilanciata dal romanticismo, gonfia la metafora della leggibilità di tanti significati da svuotarla di ogni valenza, finché Flaubert con la vacuità della frenetica ricerca libresca di Bouvard e Pécuchet concretizzerà il sogno, già di Lichtenberg, di dissolvere la metafora della leggibilità scrivendo un libro su niente, che è anche la strada individuata da Mallarmé nel vagheggiato e mai scritto Le livre, che Blumenberg ritiene essere il Colpo di dadi.
La metafora della leggibilità scacciata dalla natura, si prenderà la rivincita aprendosi ai tortuosi orizzonti del sogno, delle nevrosi e della psicopatologia della vita quotidiana di Freud e all'affascinante mondo microscopico della cellula e dei batteri.
2 L'universo e il vuoto... spesso tendono a identificarsi
2.1 Il romanzo di Goethe sull'universo
Le poche informazioni dirette e la ricognizione del pensiero di Goethe, riferita in particolare all'ideale di intuizione della natura, in cui è agevole individuare l'identità spinoziana Dio-natura, consentono a Blumenberg nella Leggibilità del mondo di ricostruire le linee del progettato romanzo sull'universo.
Doveva trattarsi di un romanzo epistolare la cui unità sarebbe stata ottenuta attraverso «una specie di peregrinante Wilhelm Meister, incerto all'inizio tra le potenze formatrici del vulcanismo e del nettunismo, ma che alla fine avrebbe completato la propria formazione respingendo tutte le tentazioni dei temperamenti vulcanici».
La necessità di un romanzo globale, di ricondurre il tutto a unità, è spiegata con la ripugnanza di Goethe verso il carattere plurale dei libri «in quanto egli resta nella tradizione del “libro della natura”» (p. 220) e il suo progetto «non era ancora in uno stato suscettibile di scienza» ma si muove in un ambito «intimamente romantico» (p. 228).
Negli Anni di peregrinazione - che «l'amico dei tardi anni, Friedrich Zelter» commentò esclamando: «Indovina! Ma non è un romanzo; è il mondo, il piccolo-grande, il grande-piccolo mondo», Blumenberg individua un ascendente del romanzo sull'universo.
Si tratta di un episodio del terzo capitolo: «Ci si trova su alte rocce granitiche, seduti sulle “montagne più antiche, sulle più arcaiche rocce di questo mondo”, e Montan rifiuta di rispondere alle grandi questioni delle origini per lasciare invece la natura prendere le parti di se stessa: egli “trattava queste crepe e queste fenditure come lettere, cercava di decifrarle, le riuniva in parole che insegnava a leggere”. La testimonianza del punto di vista è univoca: “La natura ha questa sola scrittura, e io non ho bisogno di trascinarmi in giro tanti scarabocchi”. La fiducia nella solidità dell'esperienza immediata è inscritta nel ritegno di Montan a rispondere alle domande curiose di Felix, ma anche nello scetticismo di Wilhenm» (p. 221).
Il saggio Sul granito è «l'unico testo che si può far sicuramente rientrare nel progetto del romanzo sull'universo. Per lui il granito è il prototipo della configurazione nettuniana della superficie terrestre nel suo significato di affidabilità. Assieme ad Abraham Gottlob Werner, che nel decennio successivo sarebbe stato il maestro del giovane Novalis, Goethe fa sorgere tutto ciò che della terra è fermo da un mare primitivo che avrebbe coperto il globo intero» (p. 222).
2.2 Convergenza di universo e testo nel Colpo di dadi
Il progetto di una trasposizione teatrale (1920) del Colpo di dadi, spinge Valéry a dar man forte all'opposizione dell'esecutore testamentario di Mallarmé, rivelando dopo un quarto di secolo di silenzio quanto sapeva delle intenzioni dell'autore.
Ricostruendo il pensiero di Valéry, Blumenberg dà conto della coincidenza del poema tra libro e universo.
Il motivo che rende impossibile la trasposizione teatrale del poema è che ogni versione diversa dalla leggibilità visibile dovrebbe coprire e riempire con elementi arbitrari l'abisso del bianco nulla sul quale si staglia il testo nella sua fatticità, come il colpo di dadi dal naufragio. Per rendere visibile la fatticità assoluta è necessario il bianco della carta, perché ciò che in essa sta stampato, in una distribuzione dettata da una decisione meramente volontaria, possa apparire “comme des êtres, tout environnées de leur nèant rendu sensible”. Il paragone va dal foglio a stampa al cielo stellato, nella cui impressione si combinano in ugual misura casualità e definitività.
Tre mesi dopo l'epifania, la corrispondenza di poesia e costellazione si era verificata di nuovo, e questa volta nella direzione inversa. La sera di un luglio 1897 Mallarmé, dopo aver discusso col discepolo gli ultimi spostamenti sulle bozze, accompagna l'ospite alla stazione: i due camminano nella notte fumando silenziosamente, sotto le costellazioni del serpente, del cigno, dell'aquila e della lira. Al discepolo l'universo appare adesso come il tipo di testo che il maestro gli ha appena mostrato, ora il libro del mondo nel quale sarebbero contenuti anche gli istanti passati assieme: “il me semblait maintenant d'être pris dans le texte même de l'univers silencieux: texte tuot de clartés et d'énigmes; aussi tragique, aussi indifférent qu'on le veut; qui parle et qui ne parle pas; tissu de sens multiples...”.
Valéry era rapito dalla conoscenza che l'opera di Mallarmé gli aveva appena concesso. La massima tentazione dell'uomo, del poeta soprattutto, doveva essere di suscitare da sé, con i mezzi della leggibilità, l'impressione proprio del cielo stellato, di fare del foglio di carta bianca l'evocazione di questa impressione: “Il a essayé, pensai-je d'élever enfin une page à la puissance du ciel étoilé!”. Nella sua commemorazione degli ultimi istanti con il maestro, si sente che in quell'esperienza Valéry non aveva più trovato problematica la decisione sottaciuta di abbandonare la letteratura. Ciò che aveva avuto di fronte, ciò che era stato tentato e voluto, gli apparve l'estremo e l'insuperabile: la coincidenza di universo e testo, nella quale le possibilità del poeta giungono alla fine. Aveva ceduto esattamente a quella suggestione escatologica che l'autore del poema aveva voluto provocare: più oltre non si poteva dover andare (pp. 309-310).
3 Un passe-par-tout universalis
(A. Piacentini, Tra il cristallo e la fiamma, pp. 518-520)
Quando Calvino salta da Lucrezio e Ovidio all’idea romantica di libro assoluto, fa leva sul libro di Blumenberg. Il che ne presuppone il ragionamento, la cui consistenza è misurata dall'aggettivo «affascinante» che l'accompagna. Il buco è coperto dall'ombrello di Blumenberg.
Fin qui niente di nuovo: si tratta di uno dei tanti riflessi policromi delle Lezioni. Il fatto è che filtra attraverso un'affermazione, che è la clavis della molteplicità, tanto ardita da non mancare di farsi notare.
L'eccessiva ambizione dei propositi può essere rimproverabile in molti campi d'attività, non in letteratura. La letteratura vive solo se si pone degli obiettivi smisurati, anche al di là d'ogni possibilità di realizzazione. Solo se poeti e scrittori si proporranno imprese che nessun altro osa immaginare la letteratura continuerà ad avere una funzione. Da quando la scienza diffida dalle spiegazioni generali e dalle soluzioni che non siano settoriali e specialistiche, la grande sfida per la letteratura è il saper tessere insieme i diversi saperi e i diversi codici in una visione plurima, sfaccettata del mondo (I. Calvino, Lezioni americane, Garzanti, 1988, p. 110).
Il trucco sta qui, nel chiudere l'arco di Blumenberg sul libro assoluto con un passe-par-tout illimitato: ogni qualvolta uno scrittore si pone l’obiettivo di tessere insieme i diversi saperi e i diversi codici in una visione plurima, sfaccettata del mondo, lì c’è la molteplicità. Il libro di Blumenberg ne ricostruisce le ambizioni, il romanzo come rete ne è la forma suprema, per lo meno nel tempo, ma l’idea di molteplicità è indipendente dal libro di Blumenberg: può esprimersi anche attraverso tanti altri avatar di cui lo schema quadripartito marca le genealogie.
La metafora del libro come mondo e del mondo come libro è una traccia manifesta delle imprese dai propositi smisurati ma non è l’unica. La conferenza si svolge a due livelli: uno che definisce l'idea di molteplicità, articolata in diversi livelli, l'altro che celebra il romanzo della molteplicità, articolato in diversi livelli. Il groviglio della Molteplicità è il prodotto di questa minuteria di livelli.
Definito il concetto di molteplicità con il sistema Gadda, ribadita l‘irrinunciabilità di Lucrezio e Ovidio, Calvino reggendosi al ventaglio aperto dal libro di Blumenberg, può saltare la ricostruzione dell’iter storico, posizionarsi direttamente sulle ambizioni complementari di Mallarmé e Flaubert, più congeniali ai fini del suo ragionamento, fare un quadro della situazione e quindi planare sulle forme più recenti rappresentate dall’«iper-romanzo», suo e di Perec, che qualificano la molteplicità nella sua espressione suprema. I limiti temporali della conferenza non gli consentono di soffermarsi sui riferimenti al passato. Li riduce a una serie di lampeggiamenti puntiformi, corredati da mappa e coordinate, affidate al libro di Blumenberg. Il vuoto diventa pieno.
Una simile regia non può essere indice di provvisorietà. Se si avverte un effetto cascata è per la duplice articolazione del concetto di molteplicità rifratta in un groviglio di livelli.
C’è una molteplicità dei contenuti e una molteplicità dello stile. Non necessariamente un’opera molteplice deve presentare una struttura molteplice. C’è la molteplicità nella forma elementare della pluralità di voci che disgrega le certezze e la molteplicità più articolata che coinvolge le stesse strutture narrative. C’è una molteplicità a livello locale dove l’universale si diversifica nella varietà del singolare e una molteplicità del livello globale dove viene definita la molteplicità dell’assoluto. La linearità del ragionamento è fatta salva, variamente combinando a livello globale la pluralità di forme date a livello locale.
Al livello globale della definizione la molteplicità è forma e contenuto del romanzo come rete e dell’iper-romanzo, ma al livello locale delle esemplificazioni scaturisce da ogni visione plurima e sfaccettata del mondo, tanto da coinvolgere esperienze letterarie disparate. In questo modo si spiega perché nel ragionamento sulla molteplicità può entrare il romanzo monologico di Jarry o trovarvi posto Valéry ed Eliot che romanzieri non sono, mentre non ce n’è per Dante che pure scrive un poema che per il suo enciclopedismo presenta una contrainte sostanziale per il memos della molteplicità.
[1] Una prospettiva tendente a condurre il mito nell'ambito della scienza è sviluppata anche nel Mulino di Amleto di Santillana.
Voci correlate
La presente pagina fa parte di un ipertesto sulle Lezioni americane di I. Calvino e sulle Metamorfosi di Apuleio.