1 Un'unica struttura
Una volta constatato che i lavori sulle fiabe abbondano in raccolte, mentre gli studi sistematici sono sporadici e rudimentali, Propp enuncia i risultati portanti della sua ricerca.
Le fiabe di magia (poiché questo è l'ambito del suo interesse) presentano degli elementi costanti, indipendentemente dalla storia raccontata.
Gli elementi costanti, stabili sono le “funzioni”, ossia l'operato d'un determinato personaggio, dal punto di vista del suo significato per lo svolgimento della storia, indipendentemente dalla sua identità e dal modo di esecuzione.
Le funzioni formano le componenti fondamentali della fiaba, sono in numero limitato (31), seguono un'identica successione indipendentemente dalle caratteristiche di chi la svolge.
L’attenzione alla funzione, indipendentemente dalle caratteristiche di chi la svolge, darà lo spunto a Claude Levi-Strauss per tracciare in un saggio del 1960 (La struttura e la forma. Riflessioni su un'opera di Vladimir Propp), pubblicato in appendice all'edizione einaudiana della Morfologia della fiaba, la demarcazione tra formalismo e strutturalismo.
2 Le funzioni
1. Allontanamento
Uno dei membri della famiglia si allontana da casa per lavoro, per un viaggio oppure muore.
2. Divieto
All'eroe è imposta una proibizione o riceve un ordine.
3. Infrazione
Il divieto è infranto; funzione appaiata alla precedente.
A questo punto entra l'antagonista, il cui ruolo è turbare la pace della famiglia, provocare qualche sciagura, danno...
4. Investigazione
L'antagonista tenta di ottenere informazioni su dove si trovino persone o oggetti; oppure è la vittima che interroga l'antagonista.
5. Delazione
L'antagonista riceve informazioni sulla sua vittima.
6. Tranello
L'antagonista tenta di ingannare la vittima per impadronirsi di lei o dei suoi averi. Preliminarmente muta aspetto, quindi agisce con l'inganno, con la magia o con la persuasione.
7. Connivenza
La vittima cade nell'inganno e con ciò favorisce involontariamente il nemico.
8. Danneggiamento
L'antagonista arreca danno o menomazione a uno dei membri della famiglia. Mentre le precedenti funzioni sono preparatorie, il danneggiamento dà l'avvio all'azione narrativa vera e propria. Può presentarsi sotto una ricca varietà di forme: rapimento, trafugamento o eliminazione del mezzo magico, rovina del raccolto, scomparsa di una persona, sottrazione dei più svariati oggetti...
9. Mediazione
Momento di connessione. La mancanza è resa nota; ci si rivolge all'eroe con una preghiera o un ordine, lo si manda o lo si lascia andare. Questa funzione introduce l'eroe, che può essere di due tipi: cercatore nelle fiabe in cui l'eroe aiuta un personaggio danneggiato; vittima quando il danneggiato è vittima e la storia ne segue le peripezie.
10. Inizio della reazione
L'eroe-cercatore, su richiesta o autonomamente, decide di porre fine alla situazione di danneggiamento o mancanza.
11. Partenza
L'eroe abbandona la casa: se è cercatore parte con uno scopo preciso; se è vittima comincia una serie di peregrinazioni con svariate avventure. A volte l'allontanamento non implica spostamento nello spazio, in altre si presenta come fuga. A questo punto entra in scena il donatore.
12. Prima funzione del donatore
L'eroe è messo alla prova, interrogato, aggredito ecc., come preparazione al conseguimento di un mezzo o aiutante magico. È una funzione di grande importanza che può presentarsi nei modi più diversi: richiesta di aiuto o di un servizio da parte di creature deboli o in difficoltà; proposta di scambio dell'oggetto magico con un altro oggetto; richiesta di mansioni strane o onerose senza ricompensa...
13. Reazione dell'eroe
L'eroe reagisce all'operato del futuro donatore, superando in genere la prova.
14. Conseguimento del mezzo magico
Il superamento della prova consente all'eroe di entrare in possesso del mezzo magico, nelle modalità più diverse: direttamente o attraverso istruzioni o raccomandazioni del donatore; oppure il mezzo magico si presenta casualmente o personaggi diversi si mettono a disposizione dell'eroe... Al mancato superamento della prova (raramente) seguono severi castighi.
15. Trasferimento dell'eroe nello spazio
L'eroe si trasferisce, è portato o condotto sul luogo in cui si trova l'oggetto delle sue ricerche, di solito in un altro luogo molto distante in linea orizzontale, a grande altezza o profondità.
16. Lotta
L'eroe e l'antagonista ingaggiano direttamente la lotta, in campo aperto o come competizione basata sull'astuzia.
17. Marchiatura
All'eroe è impresso un marchio particolare o direttamente sul corpo (una ferita per esempio) o con un oggetto (fazzoletto, anello...)
18. Vittoria
L'antagonista è vinto (ucciso, scacciato...), eliminato nella sua funzione negativa.
19. Rimozione della sciagura o della mancanza
La situazione iniziale di precarietà (sciagura o mancanza) è rimossa.
20. Ritorno
L'eroe ritorna in maniera immediata senza l'indicazione di una nuova funzione di trasferimento.
21. Persecuzione, inseguimento
L'eroe è sottoposto a persecuzione. È inseguito dal persecutore trasformato in animale che tenta di divorarlo, o in oggetti allettanti sul suo cammino...
22. Salvataggio
L'eroe si salva dalla persecuzione fuggendo, trasformandosi in oggetti che lo rendono irriconoscibile. Con la sconfitta del persecutore moltissime fiabe terminano. L'antagonista viene punito (30) e l'eroe si sposa (31). Ma spesso non è così e la fiaba comincia tutta da capo, dando il via al secondo movimento, una fiaba nella fiaba, una nuova serie di funzioni.
23. Arrivo in incognito dell'eroe
24. Il falso eroe avanza pretese infondate
25. All'eroe è proposto un compito difficile
26. Il compito è eseguito
27. L'eroe è riconosciuto
28. Il falso eroe è smascherato
29. L'eroe assume nuove sembianze
30. Punizione dell'antagonista
3 «La tragedia della fanciulla»
Dunque le fiabe di magia sono in relazione con i riti di iniziazione, facilmente riconoscibile nella sequenza allontanamento-fornitura dei mezzi magici-superamento delle prove-matrimonio. Per essere ammessi nella società degli adulti i giovinetti dovevano superare delle prove. Venivano portati nel bosco (allontanamento) dove lo stregone li dotava dei mezzi necessari (fornitura dei mezzi magici) per superare delle prove alla fine delle quali venivano integrati nella società degli adulti (matrimonio).
E per l’iniziazione femminile? Walter Burkert utilizzando la stessa metodologia di Propp individua delle funzioni in una serie di racconti che definisce «tragedia della fanciulla», in cui è facilmente riconoscibile
il naturale, biologico ciclo vitale della donna nel passaggio dall'infanzia all'età adulta. Il passaggio è segnato per natura da tre eventi drammatici: menarca, accoppiamento, gravidanza. Nello schema del racconto, a essi corrispondono la segregazione, l'incontro sessuale, il parto. Non è una coincidenza casuale; il fondamento biologico della cultura, comunque sia verbalizzato nella tradizione narrativa, non potrebbe essere più evidente.[1]
Lo schema sembra avere particolare rilievo nella mitologia greca, ma non è limitato a essa. Lo troviamo anche nella civiltà maya. L'esempio più antico è implicito nella leggenda del re Sargon, il primo Gran Re della Mesopotamia: «Mia madre, Alta Sacerdotessa, ingravidò di me; in segreto mi partorì. Ella mi mise in un cesto di giunchi... ». Della donna non si dice altro, del padre nulla. Ma la sacerdotessa che partorisce in segreto implica il periodo di segregazione e l'infrazione di tabù, seguiti da un nuovo e fausto inizio. La tragedia della giovane che deve abbandonare il figlio si è ripetuta sovente. Le storie di Mosè, e di Romolo e Remo nati da Rea Silvia, vergine vestale, sono molto vicine alla leggenda di Sargon. Dal Sargon storico la leggenda si diffuse per oltre due millenni, a caratterizzare il nuovo re?
Lo schema riappare in fiabe famose. In Raperonzolo, per esempio, la fanciulla è rinchiusa in una torre, dove tuttavia si introduce il principe. La loro unione segreta viene scoperta, seguono separazione e tribolazioni, ma tutto si conclude con un lieto fine. L'autrice francese del racconto affermava di averlo liberamente inventato; in realtà deve avere attinto, consapevolmente o inconsciamente, alle tante storie di vergini segregate in una torre, riorganizzando semplicemente motifemes ben noti. Lo schema è anche più chiaro in Biancaneve, della raccolta Grimm. L'eroina, cacciata di casa a motivo della sua bellezza e destinata a morire per ordine della matrigna, giunge nella dimora dei nani, dove conduce una vita idilliaca e tuttavia – conformemente alla morale tedesca – virtuosa e industriosa tra questi infaticabili minatori. L'idillio termina quando la fanciulla è indotta a mangiare una mela avvelenata; ella cade in un sonno simile alla morte e giace in una bara di vetro, finché naturalmente arriva il principe che la risveglia con un bacio. Una versione più realistica e licenziosa è narrata in una canzone popolare tedesca, documentata dal XVI secolo. Un cavaliere amoreggia con una fanciulla e scompare; la ragazza, incinta, viene fatta giacere dalla madre in una bara; i preparativi del funerale richiamano il cavaliere, che torna per piangerla come si conviene; ma ecco, la ragazza risorge dai morti e le nozze sono inevitabili.[2]
Tra questi racconti Burkert pone Amore e Psiche.
A questo proposito sentiamo cosa sostiene Eros al femminile.
Dunque il destinatario è una giovinetta in età da marito, una giovinetta in imminenza delle nozze, una giovinetta da iniziare ai «misteri femminili», dice Neumann, intendendo con ciò, non quelle informazioni un tempo — non remoto — svelate la vigilia delle nozze, ma riti di iniziazione ai culti misterici femminili, in particolare eleusini, culti che avrebbero il loro archetipo centrale in quelle «nozze di morte» a cui Psiche viene immolata all’inizio della favola.
‘L’abbigliamento delle nozze ferali’, la luce della fiaccola nuziale che va spegnendosi sotto la cenere, il mutarsi del suono del flauto nuziale in una lamentosa melodia e del canto dell’imeneo in un triste ululato — tutto ciò ricorda il rituale matriarcale delle nozze di morte, […] qui risuona l’antico motivo primordiale della sposa votata alla morte, motivo che potrebbe anche esser intitolato ‘la Morte e la Fanciulla’; si manifesta così un fenomeno fondamentale della psicologia femminile-matriarcale» (Neumann, p. 46).
Anche senza sollevare le brume di oscuri, truculenti rituali matriarcali, si può con buona approssimazione ritenere che la morale della favola o l’insegnamento del mito, se Amore e Psiche è un mito, è senz’altro da far decantare in un contesto iniziatico a sfondo matrimoniale. «La storia di Apuleio riguarda, in fin dei conti, l'incontro dell'anima con l'amore sessuale. […] Anche i misteri di Iside e il grande affresco della pompeiana Villa dei Misteri sono stati ricondotti al contesto dell'iniziazione al matrimonio» (Burkert, La creazione del sacro, p. 101).
Non a caso in Amore e Psiche risuonano i motivi di un archetipo meno evanescente di quello suggerito da Neumann, la «tragedia della fanciulla», una struttura narrativa centrata sui riti femminili di pubertà, simmetrica alla fiaba d’avventura e di ricerca studiata da Propp che invece segna il rito di pubertà maschile, e scomponibile peraltro con la stessa metodologia introdotta dallo studioso russo.
La «tragedia della fanciulla» può essere analizzata con la metodologia usata da Propp, individuando una sequenza di funzioni o motifemes. Ce ne sono almeno cinque, in un ordine immutabile: (1) una frattura subitanea nella vita della fanciulla, quando una forza esterna la costringe a lasciare la casa, separandola dall'infanzia, dai genitori e dalla vita familiare; (2) un periodo di segregazione, spesso elaborato come fase idilliaca benché anormale della vita, in una casa o in un tempio; oppure, invece di essere rinchiusa, la fanciulla vaga per lande selvagge, remote dai normali insediamenti umani; (3) la catastrofe che sconvolge l'idillio, causata dall'intrusione di un essere maschile, per lo più un demone, un eroe o un dio che viola la fanciulla e la ingravida; ne risulta (4) un periodo di tribolazioni, sofferenze e castighi, di vagabondaggio o prigionia, finché (5) la fanciulla viene salvata e la vicenda si conclude felicemente. La conclusione felice è collegata direttamente o indirettamente alla nascita di figli, il più delle volte un figlio maschio; nella mitologia greca il figlio è di solito un importante eroe tribale o eponimo (ivi, pp. 97-98).
Non è necessaria la fantasia di Galileo per isolare nella favola di Amore e Psiche le funzioni della «tragedia della fanciulla». Psiche è (1) costretta dall’oracolo a lasciare la casa natale, (2) è segregata nel palazzo di Eros, (3) perde il dorato ménage, (4) attraversa un periodo di tribolazioni, sofferenze e castighi, finchè (5) viene soccorsa da Eros e felicemente assunta in cielo. È evidente la simmetria della struttura di Amore e Psiche con la «tragedia della fanciulla».
È evidente al colpo d’occhio, mentre a un’analisi più minuziosa diventa evanescente. Se tutto sembra filare via pari pari sulle prime due funzioni - il responso dell’oracolo e la segregazione nel palazzo, - il riflesso della terza si fa tanto distorto da mettere in discussione il tutto. La catastrofe (3) in Amore e Psiche non è innescata dall'intrusione di un essere maschile, né dall’ingravidamento, ma dalla stessa Psiche, dalla sua trasgressione.
Non è una differenza di poco conto: sarebbe come se nel racconto di ricerca l’eroe si procurasse per conto proprio il mezzo magico senza il concorso dell’aiutante.
Contrariamente al modello, Psiche non subisce, ma agisce. Nella “tragedia” di Kore-Persefone, prototipo della tragedia della fanciulla, Kore è segregata dalla madre Demetra in una casa incantata. Analogamente Biancaneve è ‘condotta’ nel bosco. Psiche invece è lei stessa ad andare incontro alla sua “tragedia”.
La mano originale di Apuleio riesce a metamorfosare qualsiasi cosa tocchi e fa della sua eroina una donna che non si lascia passare sopra la testa la catena degli eventi o delle sequenze biologiche: Psiche, pur nell’armonia con la necessità biologica, vuole essere lei stessa parte attiva del suo essere, sin dalla prima funzione, che col senno di poi o, meglio, per processo ricorsivo, risulta anch’essa, adulterata.
Apuleio reinterpreta, reinterpreta con ‘malizia’ e se rapportiamo questa al modello di lettore — quel lettore smaliziato che abbiamo più sopra ipotizzato per l’Asino d’oro, — non è difficile supporre che il contesto iniziatico non poteva essere fine a se stesso, ma doveva fare da conchiglia a qualcosa di ‘altro’ rispetto alla semplice evocazione di rituali puberali, a qualcosa che, pur mantenendone la valenza del ‘mettere a parte’, dell’iniziare, dell’informare, dell’insegnare, lo trascendesse comunque nella sostanza. In altre parole l’aspetto iniziatico doveva fare da bandolo per sdipanare la matassa regolativa del testo. Perché è questo, a mio avviso, l’intento recondito dell’Asino d'oro: le istruzioni per l’uso, le istruzioni per la fruizione dell’eros. E ciò in sintonia con l’intento, sia pure mascherato, affidato sin dal Prologo a quel laetaberis (lector intende: laetaberis) che ha fatto sviolinare una lunga sequela di pii svolazzi. Lo Scazzoso ad esempio scrive: «Così il tanto discusso: lector intende, laetaberis, si presta ad una ambiguità, che sembra voluta, di significato: la laetitia, oltre dalla vivacità e dal brio dei racconti che stanno per incominciare, è offerta anche dal fine edificante del romanzo, dalla salvezza spirituale, il segreto della quale può essere comunicato al lettore da Apuleio stesso, renatus, ad opera della dea Iside» (Scazzoso, p. 24). Non meno acrobatica è la performance del Griffiths (cfr. p. 48) che librandosi sull’amalgama di serio e faceto plana dalla prima letteratura apocrifa cristiana, al ‘serio ludere’ di Cusano, Ficino, Pico, Calcagnini, dimentico che l’amalgama di serio e faceto può servire sì a edificare, ma anche a demolire, come ben insegna la tradizione serio-comica decriptata da Bachtin, tanto più che il ludere di Apuleio, copiosamente — oltre che gustosamente — lascivo, lascia poco spazio all’intento pio: da che mondo è mondo non s’è mai visto diffondere santini scollacciati — anzi “pornografici” come vuole von Franz — per fare proseliti.
È legittimo allora domandarsi se Apuleio, sia pure nell’«ambiguità» o meglio nella plurivocità che lo caratterizza non avesse voluto, piuttosto che riferirsi al piacere della lettura o agitare improbabili (visti i materiali) svolazzi di stampo francescano, ammiccare a un qualcosa che arricchisse (laetamen) il lettore così da consentirgli non già, come vorrebbe Gianotti, l’accesso «ai territori familiari ai filosofi (anima, mito, cosmo)» (Gianotti 2000, p. 180), ma più terra terra il godimento di quei piaceri della vita che Carite nega a Trasillo: nec vitae voluptate laetaberis (VIII, 12).
Come «gli oscuri testi delle Piramidi [...] sono istruzioni di rotta per l’anima del re, morto in tali e tali situazioni astrali, perché possa trovare la sua via verso il luogo del cielo che gli sarà assegnato come eterno soggiorno» (Santillana, p. 19), così Amore e Psiche doveva essere una guida, un foglietto regolativo, un manuale di istruzioni per l’uso, e ciò in sintonia con quel modello di romanzo — di romanzo molteplice — che più sopra abbiamo ipotizzato per l’Asino d’oro, un romanzo che trova il suo emblema in un libro di Gorge Perec dal titolo assai eloquente: La vita. Istruzioni per l’uso.
(A. Piacentini, Eros al femminile, pp. 149-150)
[1] Burkert W., La creazione del sacro. Orme biologiche nell’esperienza religiosa (1996), trad. it. Adelphi Edizioni, 2003, pp. 99-100.
[2] Ivi, pp. 98-99.
Voci correlate
La presente pagina fa parte di un ipertesto sulle Lezioni americane di I. Calvino e sulle Metamorfosi di Apuleio.