1 Perché “Eros al femminile”?
Per sottolineare che l’erotismo è una manifestazione prettamente femminile. Non a caso Eros è figlio di Venere. Se si dà per assodato che «quell’oscuro oggetto del desiderio» è custodito dalla donna, va da sé che per sottrarlo all’ombra, occorre che colei che lo detiene sia disposta a metterlo in gioco... Leggi...
2 Dalla Prefazione
Stai per cominciare a leggere un libro un po’ strano. Niente male, perché alle volte idee chiarificanti nascono dalla lettura di libri strani… Oddio, a ben vedere, il libro non è strano in sé. Perché le cose strane... Leggi...
3 Abstract
A parere pressoché unanime della critica, le disgrazie di Lucio sarebbero imputabili alla piccante storia intrecciata con l’avvenente e, diciamolo pure, disinibita Fotide. Ma, come giustamente rileva il Vitali, questo è un «genere di avventura... Leggi...
4 Solo una donna
Solo quando una donna è libera nel corpo e nella mente – come Psiche, ma anche come Fotide e la Matrona – di esprimere la sua carica erotica, si aprono le vie dell’eros anche per l’uomo. Leggi...
1 Perché “Eros al femminile”?
Per sottolineare che l’erotismo è una manifestazione prettamente femminile. Non a caso Eros è figlio di Venere.
Se si dà per assodato che «quell’oscuro oggetto del desiderio» è custodito dal corpo delle donne, va da sé che per sottrarlo all’ombra, occorre che colei che lo detiene sia disposta a metterlo in gioco.
In altre parole il maschio deve adottare una strategia tale da “convincere” la femmina, che ne vale la pena. Il che implica non il mirare all’appagamento del macho, ma della donna: un ribaltamento del senso comune maschilista. Se la donna sente di potersi comportare da soggetto e non da oggetto, allora l’eros potrà esprimersi. Diversamente sarà un mero esercizio di sessualità.
Il passaggio dalla sessualità all’eros - e non il voto di castità - è il vero percorso di redenzione che Apuleio dispiega davanti agli occhi del suo Lucio-asino. Opportunità che il nostro Lucio, abbagliato com’è dalla pratica esteriore e consumistica dei sexi-shop, non sa cogliere. Che lasci Venere ad altri e lui si dedichi castamente a Nostra Signora Iside.
Se si esce dal convincimento che l’Asino d'oro tracci un percorso di redenzione, si noterà agevolmente che chi svolge il plot (la trama, l’intreccio, l’elaborazione del materiale narrativo) nell’Asino d'oro è quel «cuncta fatigat», quella fregola, che attraversa tutti gli esseri animati, parificandoli. E ciò sin dal primo racconto, perché se è vero che narra di streghe, tuttavia le streghe in fabula mettono in atto il loro armamentario per punire l’amante che s’era sottratto alle voglie di una di loro.
Peraltro anche le pratiche magiche di Panfile, la padrona della serva con cui Lucio consuma lietamente le sue notti, sono attuate per soddisfare le insaziabili voglie da cui è attraversata. Senza dire poi della nutrita serie di novelle cosiddette “dell’adulterio”, che costituiscono un malloppo tanto corposo da aver dato spunto a studi monografici.[1]
Storie tratteggiate con tinte fosche, tetre, - espressione di una sessualità subìta e insoddisfatta, perversa e pervertita - alle quali accomunerei anche l’episodio dei preti invertiti della dea Siria, i cui costumi sessuali sono descritti dal nostro asino con la stessa repulsione dimostrata verso le donne di cui sopra. Senza contare che a distanza, a libro chiuso e alla luce del fatto che «i galloi e simili fanatici, sacerdoti castrati di dee semitiche e anatoliche, della Dea Siria, della Mater Magna o di Bellona»[2] nel loro travestimento[3] e nell’accettazione di «ruoli femminili»[4] liberano il profumo di donna piuttosto che di uomo.
Su questo sfondo sotterraneo, sulle tinte crepuscolari, ctonie, viperine del drago si svolge poi l’aspetto solare: Fotide e la Matrona ai lati e in mezzo il racconto di Carite da cui sboccia Psiche.
Fotide e la Matrona che nella loro trasparenza e immediatezza interpretano un rapporto sereno, libero, disinibito, senza filtri, sacro[5] oserei dire con il sesso. Fotide che nei suoi incontri notturni con Lucio è di una linearità assoluta: sa quello che vuole e quel che può e vuol dare.
La Matrona interprete di quella che nel dialetto bresciano le donne chiamano òiò dè òm, voglia di uomo, dove la sineddoche “uomo” accenna al tutto per alludere a una parte (molto circoscritta, per altro).
Carite: espressione allo stato puro della dedizione che una donna può offrire a un uomo, al suo uomo. E Psiche che nella sua simplicitas, opponendosi al senso comune delle sorelle (quello della mera sessualità ferita) riesce a far suo l’eros.
E, a latere, il nostro narratore che nello «statuto del protagonista come “terza persona”»[6] non impara nulla, purtroppo, lui Lucio-asino, ma con la complicità di quell’altro Lucio che gli tiene aperti gli occhi e gli fa rizzare le lunghe orecchie, si sbraccia affinché il lettore ne tragga il massimo profitto. «Lector intende: laetaberis»: leggi bene, lettore, ne trarrai giovamento.
Dalla Prefazione:
Stai per cominciare a leggere un libro un po’ strano. Niente male, perché alle volte idee chiarificanti nascono dalla lettura di libri strani…
Oddio, a ben vedere, il libro non è strano in sé. Perché le cose strane, insolite che racconta sull’Asino d'oro sono già state messe in luce da una millenaria pletora di interpreti. Strano è che, non appena date alla luce, esse fossero state piamente e pudicamente sepolte, insabbiate, rimosse, senza scalfire o per non scalfire la pia lettura che sin dalla tarda antichità si è data del boccaccesco romanzo di Apuleio, cosa che peraltro gli ha salvato la vita, facendolo pervenire illeso fino a noi.
Ecco perché è strano il libro che stai per leggere, perché raccoglie in un quadro interpretativo unitario quanto rimosso o misconosciuto da altri, ribaltando la consolidata lettura dell’Asino d'oro e di Amore e Psiche, anzi di Cupido e Psiche, ché Amore è arbitrario. Cupidus in italiano suona Cupido, che è qualcosa di ben lontano dall’Amore. Nel suo nome risuona il verbo cupere che evoca la brama, il desiderio, piuttosto che la dedizione.
Inutile dire che la parte più fruibile è la seconda, là dove il patchwork cede il passo al racconto d’insieme, svelando la trama nascosta – erotica – del romanzo.
Per questo sarei tentato di consigliare a chi non ama gli anteludia, i preliminari di passare subito al sodo, se non fosse che questo libro strano fa dei preliminari il suo piatto forte.
Sta dalla parte del corpo delle donne l’Asino d’oro. Probabilmente per questo è stato mistificato.
Abstract
A parere pressoché unanime della critica, le disgrazie di Lucio sarebbero imputabili alla piccante storia intrecciata con l’avvenente e, diciamolo pure, disinibita Fotide. Ma, come giustamente rileva il Vitali, questo è un «genere di avventura che in ogni tempo fu e sarà non dico perdonabile ma comprensibile in un giovine normalmente costituito e libero da più o meno legittimi legami».[7] Senza dimenticare che nel II secolo la sessuofobica mentalità cristiana era di là dall’affermarsi.
E allora? Se non fosse l’eros, ma una superficiale concezione dell’eros, se fosse la pratica maschilista del sesso a condannare Lucio alla coriacea scorza dell’asino? Scorza di cui non si libera nemmeno dopo la retrometamorfosi, perché il voto a Iside implica una castrazione, sia pure metaforica.
Eppure Fotide, l’avvenente e disinibita Fotide s’era premurata, per mano s’intende di Lucio, Lucio Apuleio voglio dire, di mostrargli la via dell’eros, ma Lucio, Lucio-asino - mediocre qual è - incapace di valicare il senso comune maschilista, non la vede, non la coglie e per questo Fotide lo scarica al suo destino di asino.
Lucio non è in grado nemmeno di decodificare la meravigliosa storia di Amore e Psiche, che non parla dell’anima che vola in cielo come credono, o vogliono far credere gli interpreti di Apuleio. Ovvero: dietro questo fantomatico volo in un Olimpo che più parodico di così non si può, Apuleio dissemina e annida un ragionamento sull’eros, visto dal punto di vista femminile. Questo è l’immane serpente che visita nottetempo Psiche, un serpente che l’Immacolata Concezione schiaccia sotto il piede e che le sorelle di Psiche vorrebbero recidere, anzi estirpare con un rasoio, pratica tutt'ora diffusa, contro cui ci si è messa anche l’Onu. Con un rasoio, si badi, e non con un coltello come vogliono i traduttori: «Veramente il testo dice novacula, che vale rasoio, il quale non è certamente arma da punta. Perciò val meglio tradurre “pugnale”»,[8] rileva Augello, e Carlesi più o meno con lo stesso tenore: «Il testo ha rasoio. Ma questo rasoio, appuntato, a due tagli, che deve, non sgozzare com’è dei rasoi, ma colpire di punta sul nodo del collo e quindi per far forza essere anche infisso in un manico, somiglia per noi troppo a un pugnale e troppo poco a un rasoio per potere esser chiamato così».[9]
Ma Lucio-asino, come i suoi traduttori, non sa liberarsi dalla morsa maschilista e non capisce. Non capisce nemmeno quando si trova tra le grinfie di quella matrona infoiata, che di fronte alle sue titubanze, titubanze, - si badi - di natura pratica, e non morale, come ci vogliono far credere: temeva di finire in pasto alle belve, se avesse - con quel suo membro mostruoso - sventrato quella nobile signora, la quale di fronte alle titubanze di Lucio «abbracciandosi stretta stretta a me, mi prese tutto, ma proprio tutto intero mi prese. Al punto che ogni volta che per risparmiarla trattenevo indietro le natiche, lei stringendosi in una presa rabbiosa e aggrappandosi alla mia schiena, altrettante volte si avvinghiava in un amplesso così intimo, da pensare, perbacco, che mi mancasse qualcosa per soddisfare tutta la sua voglia, e da rendermi conto che la madre del Minotauro non si sia dilettata poco con il suo mugghiante drudo» (X, 19-22). Lucio non capisce, dicevo, di essere di fronte alla libera espressione della libido femminile, quando la donna, non oppressa e inibita da remore sociali, si pone a tu per tu con l’eros. Non è pornografico l’Asino d’oro, come dice Marie Luise von Franz.[10]
In ogni caso pornografico o no, una matrona infoiata poco si addice a un racconto che si vuole scritto per far proseliti, sia pure divertendo. Senza contare che quel Lucio che, ammiccando al lettore, racconta compiaciuto i suoi peccati di libido e di curiositas, causa secondo i critici delle sue disgrazie, è un Lucio che si vorrebbe riscattato dal peccato.
Qualcuno riesce a immaginare i Fioretti di San Francesco stemperati nelle avventure piccanti di Fotide (o della Matrona) o intinti nell’erotismo rarefatto di Amore e Psiche (la rarefazione è la specificità dell’eros), che impreziosiscono l’Asino d’oro? O un sant’Ignazio che affida le meditazioni visive dei suoi Esercizi spirituali non a «un tempio o un monte dove si trovano Gesù Cristo o Nostra Signora», ma alle tetre storie di una sessualità ferita e perversa, come quelle che, trasudando dai numerosi racconti, pullulano nell’Asino d’oro?
Il corpo delle donne
Solo quando una donna è libera – come Psiche, ma anche come Fotide e la Matrona – di esprimere la sua carica erotica, si aprono le vie dell’eros anche per l’uomo.
Quando si parla di erotismo e di eros il senso comune inneggia alle posizioni del kamasutra, come se il top dell’erotico consistesse nell’esercitare il sesso, sì esercitare il sesso e non fare sesso come viene tradotto l’having sex dei serial televisivi d’oltreoceano: è più pregnante dire esercitare il sesso piuttosto che fare sesso, perché la parola esercizio si porta appresso la doppia valenza dell’esercizio fisico (come sono certe concezioni dell’erotismo) e del fare sesso, del soddisfare il sesso, o se si preferisce la sessualità più compulsiva… Dicevo: il senso comune stempera l’erotismo in acrobazie tanto improbabili quanto fantasiose. Anzi affida la cartina di tornasole dell’erotico al fantasioso e all’improbabile, complici i rotocalchi, più o meno patinati, che, puntuali come la luna piena, all’affacciarsi delle ferie di massa ti sollazzano con pseudo istruzioni di erotismo.
Ciò è in linea peraltro con la fioritura dei sexi-shop, che se da un lato sono sintomo di un senso comune più disinibito (o meglio: meno inibito), dall’altro veicolano uno pseudo erotismo esteriore e consumistico. Sono luoghi del consumismo, non dell’erotismo.
In realtà i luoghi dell’erotismo non li trovi nei supermercati, sia pure dedicati al sesso, perché i luoghi dell’erotismo s’annidano nei meandri della mente. Non alludo all’hardware (le strutture e i meccanismi mentali che do per imprescindibili), ma al software, a ciò che su quelle strutture viene caricato e fatto girare. Di questo gli imbonitori nostrani non ne fanno cenno. Peccato, perché lì sta il discrimine tra l’esercizio del sesso ossia il livello della sessualità e l’erotismo e non nelle posizioni del kamasutra.
Ben diverso è il ragionamento sull’erotismo che Apuleio affida al suo Asino d'oro. Sì, perché il filo rosso che tiene assieme il suo racconto, compreso l’ultimo libro ritenuto dagli studiosi di tutt’altro conio rispetto ai primi dieci, sono la sfera del sesso e della sessualità, descritta (ovviamente non nella forma del trattato, ma trasfigurata come s’addice a un romanzo) nelle sue diverse manifestazioni, dal livello più basso fino al sublime di Psiche.
Infatti sulle numerose storie di una sessualità compulsiva, subita e perversa, dove lo zimbello erotico, anzi sessuale è inseguito dalle protagoniste con l’inganno, con la violenza, con il sotterfugio, con il raggiro,[11] o, al contrario, quando il corpo delle donne è vittima del senso comune maschilista (è il caso delle sorelle) s’innalzano da un lato la trasparente dedizione di una donna (Carite) per il suo uomo (Trasillo) e dall’altro Fotide e la Matrona, espressione di una percezione serena, trasparente, libera oltreché disinibita del corpo e della sessualità che – diciamolo pure - se la sanno gestire fino alle vette dell’erotismo. E sopra il tutto, il sublime di Psiche, dove l’erotismo diventa poesia. Ma questa è tutta un’altra storia che vedremo tra poco, non prima di aver aggiunto che il narratore-osservatore, il nostro Lucio-asino da attore ingenuo non ha saputo cogliere l’opportunità di passare dall’esercizio del sesso all’erotismo che Fotide e la Matrona gli mostravano nella pratica e che Psiche gli esplicitava nel trattato, sia pure trasfigurato nella poesia.
Sì, perché la Psiche dell’Asino d'oro, lottando contro il senso comune che la vorrebbe soggetta al maschilismo fallocentrico (imperante sul corpo delle donne allora come oggi) tocca una tale autonomia di giudizio, una tale libertà di pensiero da raggiungere le vette dell’eros, indicando nel contempo ai lettori la via per raggiungerlo: ai lettori uomini sciorinando l’hardware (leggi: i punti erogeni del corpo delle donne), ma soprattutto il software (i meandri mentali) in cui s’annida l’erotismo al femminile (che è ciò che trascurano sciaguratamente i kamasutra nostrani concentrati solo sul corpo delle donne), mentre alle lettrici donne offre l’opportunità di comunicare in modo discreto, ma efficace ai signori uomini che in barba a Freud, il corpo delle donne, non ha nulla da invidiare al corpo degli uomini, in quanto il corpo delle donne è detentore dell’erotismo, anche dello stesso erotismo maschile: solo quando una donna è libera nel corpo e, sottolineo, nella mente – come Psiche, ma anche come Fotide e la Matrona – di esprimere la sua carica erotica, si aprono le vie dell’eros anche per l’uomo. Mentre quando il corpo delle donne è costretto ad arrampicarsi sui vetri per soddisfare il corpo del compagno (o del cliente), per quanto si agiti e si dia da fare, non raggiungerà mai quel grado di accettazione e di coinvolgimento tale da trasformare quel mondo di mostri che in fondo è la sessualità (anche le bestie copulano!) nella rarefazione dell’eros.
Note
[1] Vedi ad esempio: Apuleio, Le novelle dell’adulterio: caratteri, funzioni, riscritture, a cura di Silvia Mattiacci, Casa Editrice Le Lettere, Firenze, 1996.
[2] W. Burkert, La creazione del sacro. Orme biologiche nell’esperienza religiosa (1996), trad. it. Adelphi Edizioni, 2003, p. 121.
[3] «Si presentano con sgargianti colori femminili e ciascuno mostruosamente sfigurato nel volto ricoperto da un viscido fondotinta e con gli occhi rifatti ad arte, indosso turbantelli, e vesti lussuose di lino e di seta; qualcuno con tuniche bianche, guarnite di porpora fluente in ogni direzione a mo’ di piccole lance, stretto in vita da una fascia, i piedi calzati da sandaletti zafferano» (VIII, 27).
[4] W. Burkert, La creazione del sacro, cit., p. 122.
[5] Per il senso comune sacro e religioso sono sinonimi, come se il sacro si esaurisse nel religioso. In realtà sono due concetti diversi che vale la pena distinguere. Per approfondire: Alle radici del sacro.
[6] Lo statuto del protagonista come terza persona. La definizione è di M. Bachtin. Per approfondire.
[7] L. Apuleio, Le Metamorfosi o L'Asino d'Oro, testo latino e versione di Guido Vitali e Marco Pagliano, Zanichelli Editore, Bologna, 1969-71, p. XIII.
[8] Apulei Metamorphoseon libri XI. Apuleio, Gli XI libri delle Metamorfosi, testo critico riveduto da N. Terzaghi, traduzione di F. Carlesi, Sansoni, Firenze 1954, p. 123.
[9] M-L. von Franz, L’asino d’oro, Boringhieri, 1985, p. 19.
[10] M-L. von Franz, L’asino d’oro, Boringhieri, 1985, p. 19.
[11] Alludo agli inserti milesi di sesso e magia (I, 7; II, 6), alle cosiddette “novelle dell’adulterio” (VIII, 22; IX) e a quelle su veneficio e crudeltà femminile (X), ma vi possiamo aggiungere anche i preti invertiti (VIII, 24-30) non diversi nell’abiezione.
Voci correlate
La presente pagina fa parte di un ipertesto sulle Lezioni americane di I. Calvino e sulle Metamorfosi di Apuleio.