1 Breve storia dell'infinito
Ripercorre il tema dell'infinito[1] dal suo primo apparire nel mondo greco sino alla recenti discussioni che, mettendo in crisi i fondamenti stessi del pensiero scientifico, hanno aperto la strada alle più rilevanti scoperte epistemologiche del nostro secolo.
Il fascino del libro sta nel raccontare l'evoluzione della nozione matematica di infinito intrecciata alla suggestione delle speculazioni mitiche, filosofiche e letterarie che l'hanno da sempre accompagnata.
2 Approfondimento
Ignoto nell'antichità, il concetto matematico di infinito fa la sua comparsa in tempi moderni con Leibniz e Cartesio per intrecciarsi con gli sviluppi delle scoperte matematiche del secolo scorso.
Ma non è apparso all'improvviso: le sue vestigia hanno serpeggiato da sempre nel pensiero occidentale fuse con la ricerca matematica o avvolte nei meandri della speculazione teologica.
Primo termine occidentale per designare l'infinito è una parola greca che significa «senza limiti», «illimitato» ciò che non si può limitare entro un tutto, «ciò che non può mai essere presente nella sua totalità nel nostro pensiero».
Prove dell'esistenza dell'illimitato sono fornite dal tempo o dai numeri interi: non potremo mai raggiungere un limite oltre il quale non sia possibile immaginare altro tempo o numeri non ancora contati o parti sempre più piccole.
All'illimitato resta associata un'idea negativa (l'horror infiniti), «espressione della sua incompletezza e potenzialità non attuata e non attuabile» per cui meglio si presta il termine «indefinito» più adatto ad esprimere il senso di incompletezza implicito nell'illimitato.
Tuttavia l'dea di divisibilità fino alle estreme conseguenze implicita nell'indefinito lo pone come principio sostanziale di ogni cosa, causa e fine di ogni esistenza, principio «divino, immortale e indistruttibile».
L'horror infiniti precluse ai Greci la possibilità di introdurre in matematica il concetto di «infinito attuale»,[2] anche se nei tentativi di quadratura del cerchio di Antifonte è individuabile un implicito riferimento agli infinitesimi[3] che unitamente al concetto di limite[4] hanno consentito la attualizzazione dell'infinito.
Nel Rinascimento l'infinito attuale è ancora qualcosa che viene affidato all'immaginazione, all'intuizione. Giordano Bruno attribuisce alla capacità intuitiva della mente la possibilità di fermare come in uno specchio l'infinito e di contemplarlo nella sua infinitezza, ma sarà il XVIII secolo con Leibniz che sviluppa alcune intuizioni di Cartesio a porre le premesse per la riduzione dell'infinito a simbolo suscettibile di manipolazione nel calcolo algebrico.
L'infinito della realtà cosmica viene capovolto e catturato nel suo opposto: nell’infinitamente piccolo, nell'infinitesimo e trasformato in un segno sulla carta.
Ma come un sortilegio l'horror infiniti, implicito nell'antico concetto di indefinito, non cessa di estendere i suoi effetti.
La scoperta delle antinomie e dei paradossi porrà in discussione il paradiso cantoriano degli infinitesimi e del transfinito[5] aprendo falle insidiose nella credibilità della stessa metodologia scientifica.
«L'errore dell'infinito è la perdita del valore contenuto nella relativa perfezione di ciò che è concretamente determinato e formalmente compiuto, e induce perciò a smarrirsi nel nulla o in un labirinto senza via d'uscita» donde il grido disperato di Borges.
3 La famosa invettiva di Borges contro l'infinito
«C'è un concetto che corrompe e altera tutti gli altri. Non parlo del Male, il cui limitato impero è L'Etica; parlo dell'Infinito». Così J. L. Borges introduce la sua breve biografia dell'Infinito in Otras Inquisiciones. Ma anche altrove traspare la sua concezione dell'infinito, spesso dissimulato in idee a esso collegate, come assoluto male metafisico, operante nel cosmo come seme di disordine e assurdità. Non c'è nulla di più pericoloso della perdita del limite e della misura: l'errore dell'infinito è la perdita del valore contenuto nella relativa perfezione di ciò che è concretamente determinato e formalmente compiuto, ed induce perciò a smarrirsi nel nulla o in un labirinto senza via d'uscita (P. Zellini, Breve storia dell'infinito, p. 11).
[1] Estensione priva di determinazione spaziale e temporale.
[2] Concezione dell'infinito come evento concreto e statico sottratto al divenire temporale. È contrapposto all'infinito potenziale.
Infinito potenziale: l'infinito inteso come incalcolabile numero di passi successivi che non portano mai ad una meta per cui non è possibile cogliere un assoluto minimo o un assoluto massimo.
[3] Parte infinitamente piccola.
[4] Nozione matematica che risolve la potenzialità di un processo infinito in un'unità formale.
[5] Concetto introdotto dalla teoria degli insiemi di Cantor «che prevede dopo una qualsiasi successione indefinita un termine limitante che produca una nuova unità e perciò un'ulteriore infinità numerabile (ciò che definisce il senso della parola "transfinito")» (P. Zellini, Breve storia dell'infinito, p. 202).
Ad esempio la successione dei numeri interi naturali immaginata nella sua infinità origina un numero ω. Sommando a questo altri numeri (ω+1, ω+2, ω+3,...) si ottiene un'ulteriore infinità numerabile. Questa successione immaginata nella sua infinità genera a sua volta una nuova successione infinita... e così via.
Voci correlate
La presente pagina fa parte di un ipertesto sulle Lezioni americane di I. Calvino e sulle Metamorfosi di Apuleio.