1 Il plot
Lucio, rampollo di nobile famiglia greca si reca per affari in Tessaglia, terra di arti magiche, ospite del ricco usuraio Milone. Saputo che la moglie è una strega provetta, capace delle più straordinarie trasformazioni, più che mai smanioso di assistere a prodigi magici, convince Fotide, l'ancillula, la servetta con la quale trascorre amabilmente le notti, a sottrarre alla padrona un miracoloso unguento che trasforma in uccello. Lucio lo prova, ma, ahimè, Fotide scambia le ampolle e Lucio si trasforma in asino. Mancano in quel momento le rose per invertire la trasformazione e caso vuole che, proprio quella notte, una masnada di ladroni assalga la casa, portandosi via l'asino con il bottino.
Comincia la triste sorte di Lucio-asino che attraversa un'infinità di traversie, fin quando, attenendosi alle prescrizioni della dea Iside, riacquista sembianze umane.
Scontato l'errore della sua curiosità e sventatezza giovanili, Lucio può intraprendere la carriera di retore e sacerdote della dea.
Dal suo triste passato Lucio ha tratto un grande vantaggio: protetto dalla pelle d'asino ha potuto contemplare da vicino gli uomini e le loro passioni.
La figura di Lucio-asino, come osservatore non visto della vita altrui, l'originale impiego del cronotopo d'avventura, il realismo e le note di costume fanno dell'Asino d'oro un passaggio ineludibile nella storia della linea pluridiscorsiva del romanzo moderno. Ad esaltarne la sapidità si aggiunga la catena di emboitements che ne impreziosiscono l'intarsio a cominciare dalla favola di Amore e Psiche.
2 L'interpretazione tradizionale
Punto di forza dell'interpretazione tradizionale che vede nell'Asino d'oro un percorso spirituale, è il Libro XI, laddove Lucio mordicchiando delle rose (l'antidoto suggeritogli da Iside) riprende fattezze umane.
Tra le più meticolose vi è quella di Merkelbach che prendendo spunto dall'allegra mascherata che apre il corteo del navigium isidis, la festa di Iside vi legge pari pari i misteri di Iside.
Ma sentiamo prima il racconto di Lucio:
Ecco che, alla spicciolata, preludendo al corteo solenne, sfilano gruppi mascherati in magnifici abbigliamenti, secondo il voto e il gusto di ciascuno.
Chi, cinto di un balteo, fa la parte del soldato. I sandali e gli spiedi fanno di quell’altro stretto nella mantellina un cacciatore; quest’altro che incede con i sandaletti dorati, la veste di seta, stravaganti ninnoli e i capelli acconciati stretti sul capo, col passo ancheggiante scimmiotta una donna. A seguire, un altro distinto da gambali, scudo, elmo e spada l’avresti detto uscito da una scuola gladiatoria. Né manca chi con fasci e porpora si diverte a fare il magistrato, né chi per pallio, bastone, calzari e barbetta caprina dia ad intendere di essere filosofo, né chi con canne diverse, l’uno con il vischio interpreta l’uccellatore, l’altro con gli ami il pescatore. Notai sia un’orsa ammaestrata, agghindata come una matrona, che veniva portata in giro in portantina, sia una scimmia con un berretto di panno ricamato e una pregiata veste zafferano alla moda frigia che reggeva una tazza d’oro al modo del pastore Ganimede, sia un asino con delle ali posticce accompagnare un vecchio malmesso, che avresti detto questi Bellerofonte e quello Pegaso, ridicoli tuttavia sia l’uno che l’altro (XI, 8).
Ed ora l'interpretazione di Merkelbach:
Le maschere della processione per Iside non erano escogitate casualmente: esse rappresentavano la natura dei loro portatori o le loro aspirazioni. Ogni «mista» di Iside era un «soldato» o un «gladiatore» al servizio della dea. Il «cacciatore» cacciava come una volta facevano Osiride e anche Arpocrate. Il «funzionario» rivestiva il ruolo di un «mista» della classe superiore, ad esempio in un dibattimento per giudicare la dignità di un candidato. Il vero «filosofo» è il sacerdote di Iside, il teologo. L’«uccellatore» e il «pescatore» sono missionari ai quali spetta il compito di catturare anime come uccelli e pesci. L’«orso» rappresenta la frigia madre degli dei e forse nel contempo una figura animale che il nuovo «mista» avrebbe dovuto deporre entro breve tempo. La scimmia travestita da Ganimede sta a mostrare ciò che il candidato era prima dell’iniziazione e ciò ch'egli sarà dopo: come Ganimede egli verrà simbolicamente rapito in cielo. Il vegliardo con l’asinello alato imita da un lato Bellerofonte, che venne portato in cielo da Pegaso, il cavallo alato; dall’altro esso rappresenta l’esitante Ocno col suo asino e quindi un uomo che non ha ancora superato le prove dell’iniziazione. Tutte le persone, mascherate si sono travestite per esaudire un voto: essi non sono ancora iniziati ma si stanno preparando. Quando avranno realizzato i loro voti potranno togliersi la maschera e indossare la bianca veste del seguace di Iside che li trasforma in aspiranti all’iniziazione. A questo gruppo appartiene anche l’asino Lucio che lascerà presto il suo travestimento simile a una maschera.[1]
L'interpretazione di Merkelbach è molto avvincente. Avvincente e suggestiva.
Suggestiva nel significato etimologico del termine, come gli interrogatori dei Santi Inquisitori, che fanno «dire ad altri ciò che ei non vorrebbe».[2]
Sì, perché Merkelbach per convincerci che quella maschera con calzari e barbetta caprina sia figura del «teologo» di Iside, sottace che i culti misterici (il culto di Iside tale era), non hanno teologi: «un rito non ha bisogno di una teologia esplicita per essere efficace»,[3] perché è una questione «di azione e di esperienza, non di fede. Non c'è nessun Credo» da proclamare.[4]
Peraltro Merkelbach a proposito della scimmia che scimmiotta (è il caso di dire) quel Ganimede rapito in cielo, si dimentica di aggiungere che sì, Giove aveva rapito quel giovinetto, ma non per pio afflato, ma per una questione di logistica, avendone fatto il suo amante.
E quale sarebbe il voto fatto da quell’altro che incede ancheggiando con i sandaletti dorati, la veste di seta, stravaganti ninnoli e i capelli acconciati stretti sul capo? Merkelbach si dimentica di spiegarlo, forse perché forse teme che il lettore si possa ricordare di quella confraternita di sacerdoti invertiti che con i loro esercizi assai poco spirituali hanno riempito di piccanti pagine l'Asino d'oro.
L'interrogatorio suggestivo è la tecnica privilegiata dagli interpreti dell'Asino d'oro, che spinge Pietro Citati a dispiegare nella parodica consacrazione di Lucio nientemeno che i paludamentidella militia cristiana.[5] Parodica, sì, perché Lucio non viene portato al tempio, ma alle terme. Ai bagni pubblici il pio corteo – stendardi e Sommo sacerdote in pompa magna - si reca per iniziare Lucio ai sacri misteri di Iside, e solo verso sera ritorna al tempio.
Ma a proposito della milizia cristiana, sentiamo cosa ne pensa il nostro Lucio-asino mentre fa girare la macina di
quel mugnaio che mi aveva comprato, un brav’uomo, peraltro, e soprattutto mite, a cui era toccata in moglie la più infame e di gran lunga la peggiore di tutte le donne, passava le pene dell’inferno sia per quanto riguarda il letto, che per come era condotta la casa, tant’è che anch’io, perdio!, in silenzio pativo spesso al suo posto. Non c’era un solo vizio che non mancasse a quella spregevole femmina, ma tutte le infamie, come in una qualche lercia fogna erano finite dritte nel suo animo. Era orribile e terribile, pertinace e pervicace, beona e trippona, meschinamente avida nell’arraffare e spendacciona in traffici loschi, nemica della fede, aliena dal pudore. Sprezzato e messo sotto i piedi il volere degli dei, in luogo della religione conclamata, con una fantomatica congettura blasfema di un dio che ella annunciava unico, traviando tutti con vacue elucubrazioni raffazzonate e abbindolando il povero marito, fornicava dal primo mattino e di continuo (IX, 14-15).
«Un'allusione, questa, al cristianesimo?» si domanda, tra gli altri, Annaratone. «Niente vieta di crederlo. I vizi che Apuleio attribuisce alla donna sono appunto quelli che non solo gli ignoranti, ma anche persone colte addossavano alle primitive comunità cristiane».[6]
E che dire poi dell'antidoto delle rose?
Il rimedio offerto da Iside è lo stesso pasto di rose indicato da Fotide.
Giustamente il Vitali annota: appare «molto strano che sia fatto egualmente dipendere da un pasto di rose, come era previsto nei riti della magia, un evento che la Dea nella sua onnipotenza potrebbe provocare ella stessa».[7]
I fautori della pia interpretazione superano l'inghippo separando la magia (Fotide) dalla religione (Iside), tuttavia Burkert ci informa che «la tradizione della magia e quella dei misteri sono per lungo tempo coesistite, con molteplici contatti e relazioni scambievoli, specialmente al livello della pratica carismatica».[8]
Sono talmente numerose le sedimentazioni fatte piovere sull'Asino d'oro che solo per raccogliere le più vistose c'è voluto un libro: L'eros al femminile. L’arcano di “Amore e Psiche”.
E allora, perché arrampicarsi sui vetri?
3 Un romanzo a più voci
«Il mio stile non ha maestri (nullo magistro) [...] Chiedo venia se da rozzo parlatore inciamperò in qualche barbarismo e volgarismo. Infatti proprio questo saltellare di stili è in linea con la scelta che ho fatto di cavalcare cavalli diversi. Lettore stai in guardia, ne vedrai delle belle» (I, 1).
Apuleio stesso invita il lettore a frugare tra le pieghe dell'Asino d'oro, ma tradizionalmente ci si accontenta della lettura più scontata: la conversione di Lucio, la cui chiave si troverebbe nel discorso che il sacerdote gli rivolge nel momento della retrometamorfosi: «Non ti giovarono i nobili natali, non l'onor tuo, e neppure la stessa dottrina di cui sei adorno; ma, per la sdrucciolevole via della verde giovine età caduto in voluttà servili, hai ottenuto il tristo premio dell'improvvida tua curiosità» (XI, 15).
«Queste sono parole alquanto generiche, intese a condannare in un sol fascio gli errori e le attività, diciamo, “profane” di un catecùmeno che è sul punto di entrare in una comunità religiosa; e Apuleio non ha parlato affatto d'una sua viziosa vita giovanile, se pur non si voglia, ma a torto, farla consistere nell'episodio - con sì accurata e gustosa arte raccontato - delle amorose nottate con l'ancella Fòtide: genere di avventura che in ogni tempo fu e sarà non dico perdonabile ma comprensibile in un giovine normalmente costituito e libero da più o meno legittimi legami».[9]
Lo stesso vale per l'improvvida curiosità. L'attrazione per il sesso (perché è lì che gira e rigira va a battere la sua curiositas) per un giovine normalmente costituito non può essere riprovevole. Piuttosto il suo è un cattivo esercizio della curiositas. Lucio non è stato capace di oltrepassare il livello della fruizione magico-maschilista della sessualità.
Magica perché le sue nottate con Fotide le affronta con l'aiuto di Bacco; maschilista perché centrato sulla soddisfazione della sua compulsione fallocentrica. Eppure Fotide, la bella disinibita personcina di Fotide gli aveva offerto l'opportunità di scoprire i supremi segreti dell'eros.
E quando il vino non gli basta più, cerca qualcosa di più forte, si affida alla lozione magica. Per questo Fotide sentendolo irrimediabilmente perso all'eros lo abbandonerà al suo destino di asino, rifilandogli l'unguento della metamorfosi asinina. Non si è sbagliata Fotide: sapeva quel che faceva!
E quando verso la fine del suo calvario di asino Lucio avrà quella piccante avventura con la matrona, dimostrerà ancora una volta il suo basso profilo maschilista, benché nel frattempo avesse conosciuto la storia di Amore e Psiche.
Amore e Psiche sarà, forse, la parabola dell'anima, sarà, forse, l'iniziazione a Iside – come vuole Merkelbach - ma soprattutto è un ragionamento (benché velato) sull'eros. (Basta strappare la linguetta posta sulla scena della lucerna). Per cui ben venga la sua vocazione al servizio della dea.
Una conversione su cui si è pompato molto fino a vederci «una “fede”, simile a quella cristiana»[10] ma che in realtà è una parodia. Non a caso si svolge sulla piazza carnevalesca. Anche qua basta sollevare una linguetta. Se non basta il fatto, come annota la voce solitaria del Vitali, che la Dea nella sua onnipotenza avrebbe potuto provocare la metamorfosi senza farla dipendere da un pasto di rose, come era previsto nei riti della magia... allora ci si chieda dove si può trovare un soggetto che nella pelle dell'asino ne ha provate di tutti i colori, compresi i più foschi... Uno che nel momento in cui dopo anni di passione, finalmente, vede gli zoccoli fendersi e virare in dita e mani, le quali tastano setole che si sciolgono in morbidi peli, e la pelle ritornata tenerella, e la coda portentosa sparita dalla fine della spina dorsale, e sparite le orecchie smisurate irte di peli e le labbra pendule e le froge spalancate e i denti grossi come sassi... Ma dove lo trovate uno che nel momento in cui le mani ritornate mani ritrovano le fattezze umane che gli appartenevano non esplode in un raptus di trionfo, di giubilo e di gioia, ma mogio mogio tra la folla tripudiante ed acclamante si attarda a premere l'una contro l'altra le cosce per poi stringerci sopra con ogni cura le mani. Manco fosse una verginella sorpresa al bagno! Sì, perché la cosa che più preoccupa Lucio in questo straordinario momento mille volte agognato è la coglia.Suvvia... è la festa dell'asino come se ne son fatte fino a tutto il Medioevo.
E in seguito a preoccuparlo è la rapacità dei sacerdoti e la fortuna che gli costano le iniziazioni a Iside che non finiscono mai, una più dispendiosa dell'altra. Se non desiste non è per la fede in Iside, ma per la prospettiva di entrare in un giro che gli consentirà di lucrare come avvocato.
Lettore stai in guardia, ne vedrai delle belle.
[1] L. Apuleio, Le metamorfosi, traduzione di Claudio Annaratone, saggio introduttivo di Reinhold Merkelbach, Rizzoli, Milano, 1977, p. 17.
[2] O. Panigiani, Dizionario etimologico, tomo II, p. 1886.
[3] W. Burkert, Antichi culti misterici (1987), trad. it. Laterza, Roma-Bari, 1989, p. 65.
[4] W. Burkert, Antichi culti misterici, cit.,p. 62.
[5] P. Citati, La luce della notte. I grandi miti nella storia del mondo, Mondatori, Milano 1996, p. 92.
[6] L. Apuleio, Le metamorfosi, traduzione di Claudio Annaratone, cit., n. 1 p. 215.
[7] L. Apuleio, Le Metamorfosi o L'Asino d'Oro, testo latino e versione di Guido Vitali e Marco Pagliano, Zanichelli, 2 voll., Bologna, 1963, p. XVII.
[8] W. Burkert, Antichi culti misterici, cit., p. 79.
[9] L. Apuleio, Le Metamorfosi o L'Asino d'Oro, testo latino e versione di G. Vitali, cit., p. XIII.
[10] P. Citati, La luce della notte, cit., p. 92.
Voci correlate
L'Asino d'oro, un esempio di realismo grottesco
La presente pagina fa parte di un ipertesto sulle Lezioni americane di I. Calvino e sulle Metamorfosi di Apuleio.