1 Jean Starobinski
Di formazione letteraria e medica (ha compiuto in particolare studi psichiatrici e psicoanalitici) Starobinski è uno dei più autorevoli rappresentanti di quella critica che nell'ambito della “nouvelle critique” è nota come critica tematica.
Attento alla rete di relazioni che all'interno di ogni testo fanno affiorare il vissuto dell'autore per interpretarne i significati latenti, Starobinski ha esteso la sua analisi agli aspetti descrittivo-formali, privilegiati dallo strutturalismo, inglobandoli in un sistema in cui il momento descrittivo contribuisce con i suoi apporti a dar corpo all'interpretazione.
Montesquieu par lui-même (1953), Jean-Jacques Rosseau: la transparence et l'obstacle (1957), L'Oeil vivant (1961), La relation critique (1970) e Trois fureurs (1974) sono le sue più note raccolte di saggi.
2 L'impero dell'immaginario
Di questo saggio che in italiano compare nel libro L'occhio vivente si propone il paragrafo conclusivo, sintomatico dell'atteggiamento con cui il critico può accostarsi all'opera letteraria se vuol tentarne un’interpretazione.
In realtà, per una critica esauriente, tutte le questioni che si pongono sulla struttura interna degli «universi immaginari» devono essere accompagnate da una domanda, che va riproposta per ogni scrittore, sulla funzione dell'immaginario (o piuttosto del ricorso all'immaginazione). Non basta inventariare gli oggetti, le immagini, ecc., che costituiscono il mondo immaginario di un autore; un bilancio del genere è valido soltanto se ci si sofferma sul significato che per questo scrittore ha la scelta della letteratura (vale a dire dell'immaginazione) e, all'interno di questo primo immaginario, la scelta più o meno deliberata di una seconda o terza potenza dell'immaginario: il fantastico, il meraviglioso, il «romanzesco», il soprannaturale, le combinazioni «derealistiche» del linguaggio, e cosí via. Ma il contributo fondamentale che ci viene dai critici freudiani e marxisti, o dalla critica sartriana (legata tanto a Freud quanto a Marx), è che non si dà immaginazione pura, né immaginazione che non sia un comportamento, guidata da un vettore affettivo o etico, e orientata positivamente o negativamente rispetto a un dato sociale. L'immaginazione può confondersi con un gioco collettivo, come nell'Ariosto, oppure, ed è il caso di Rousseau, essa si appresta lo scenario di un rifugio ove l'individuo si esilia e si intrattiene in solitudine con se stesso; oppure come in Zola, si insinua, contro la volontà dello scrittore, in un'opera di descrizione realistica. Nel Don Chisciotte e in Madame Bovary, ove l'immaginazione romanzesca assume come tema i guasti di una immaginazione romanzesca morbosamente deformata, si è indotti a considerare l'immaginario a due livelli: quello dell'autore e quello dei suoi personaggi. Tutto porta dunque a riconoscere la necessità di uno studio differenziale dei livelli di realtà e di irrealtà, a misurare la distanza che separa da una immaginazione potenziata (quella delle finzioni deliranti) l'immaginario minimo inseparabile da ogni creazione letteraria. Non si dimentichi, d'altro canto, che la tolleranza verso l'immaginazione varia secondo gli ambienti, le epoche e le tradizioni. In una parola, vediamo profilarsi un compito critico che non si limiterebbe all'analisi dell'universo immaginato, ma che manterrebbe la forza immaginante nella sua situazione relativa entro il contesto umano in cui essa sorge. In effetti il compito critico, destinato senza dubbio a rimanere sempre incompiuto, consiste nel percepire le opere nella loro autonomia feconda, in modo però da cogliere tutti i rapporti che esse hanno col mondo, con la storia e con l'attività inventiva di un'intera epoca.(J. Starobinski, L'occhio vivente. Studi su Corneille, Racine, Rousseau, Freud, Einaudi, 1975, pp. 293-294).
3 La concezione di Giordano Bruno
Secondo Giordano Bruno (che non è il primo a darvi questo senso), l'immaginazione non è più uno dei sensi interni,[1] ma designa l'insieme dei sensi interni; non è soltanto mimetica e combinatoria, ma è il principio del giudizio applicato al particolare, è fonte viva di forme originali, e principio dell'infinita fecondità del pensiero: sinus inexplebilis formarum et specierum. Nell'uomo l'immaginazione ha come supporto un'anima immaginativa, uno spiritus phantasticus, tra materia e spirito, il quale, secondo una tradizione venuta da Sinesio e trasmessa dal neoplatonismo fiorentino, è affine all'anima del mondo e allo spiritus materiale sottile che costituisce gli influssi planetari.(J. Starobinski, L'occhio vivente, Einaudi, 1975, pp. 286-87).
4 Vena visionaria
Il ripiegamento nell'interiorità del fantastico romantico è interpretato da Starobinski come reazione all'impossibilità di ricondurre nei canali della Naturphilosophie l'immagine del mondo costituita dalla scienza.
In particolare, va notato come la teoria romantica dell'immaginazione (che sopravvive negli epigoni del movimento surrealista, vagamente occultisti e intinti di magia) si sviluppi sotto la forma del rifiuto, come un'appassionata smentita alla ragione meccanicistica, proprio nel momento in cui quest'ultima fonda la scienza, mette la natura in formule fisiochimiche ricavandone le tecniche che hanno trasformato il mondo. La Naturphilosophie ottocentesca poteva ancora sognare di riconvertire in magia questa scienza conquistatrice e interpretarla come una “poetica“”. Ma rivelandosi la conciliazione impossibile, la rivolta romantica è costretta a oscillare tra due poli: o opporre in modo quasi delirante un'eccezione di inammissibilità all'immagine del mondo costituita dalla scienza e tentare di sostituirle o giustapporle un tipo di teosofia in cui l'immaginazione, conservando i propri privilegi oggettivi, resti un organo di conoscenza o meglio di partecipazione; oppure, più modestamente, rivendicare per la coscienza individuale il diritto di isolarsi, di regnare su un orizzonte immaginario, in cui niente possa opporsi all'originalità del fantasticare individuale. Non potendo aprire all'immaginazione lo spazio dell'universo, né sostenere l'ambizione di un grande realismo magico, ci si ripiega nello spazio dell'interiorità, si traducono i sogni cosmici in sogni interiori, e si sprofonda nella secessione idealistica. Immaginare non è più partecipare al mondo, bensì frequentare la propria immagine sotto le apparenze indefinitamente variabili che essa può rivestire. Non per nulla il simbolismo legherà l'immaginario al mito di Narciso. E non è un caso se l'inizio di questo secolo vede nascere la definizione dell'introversione: “die Rückbiegung der Libido auf die Phantasie”.[2](J. Starobinski, L'occhio vivente, Einaudi, 1975, p. 289-90).
[1] Nella concezione prevalente tra Rinascimento e romanticismo alla ragione compete la concezione dell'opera e all’immaginazione l'abbellimento attraverso gli ornamenti retorici, “sicché l'immaginazione non è l'architetto dell'opera, ne è soltanto il decoratore” che svolge la sua funzione accanto agli altri “sensi interni” e in posizione subordinata alla ragione.
[2] “L'introversione della libido nella fantasia” in Storia della critica moderna, C. G. Jung, Psychologische Typen, Zürich 1921 [trad. it. Tipi psicologici, Boringhieri, Torino 1973.].
Voci correlate
Il castello dei destini incrociati
La presente pagina fa parte di un ipertesto sulle Lezioni americane di I. Calvino e sulle Metamorfosi di Apuleio.