Notizie biografiche
Nato da genitori di estrazione borghese, trascorre l'infanzia a Bayonne nel Sud-Ovest dove compie i primi studi. Nel 1924 si trasferisce a Parigi con la madre – il padre era morto nel 1916 in un combattimento navale – dove frequenta il liceo alla cui conclusione per ragioni di salute rinuncia alla Scuola normale superiore per una laurea in lettere classiche.
Tra la fine degli anni trenta e l'inizio degli anni cinquanta alterna l'attività di lettore (a Debreczen in Ungheria, a Bucarest, poi ad Alessandria d'Egitto), ai soggiorni di cura e all'insegnamento nei licei.
Negli anni Cinquanta inizia a scrivere su quotidiani («Combat», su cui compaiono gli articoli che costituiranno il nucleo del Degré zéro de l'écriture) e periodici («Critique», «Arguments», «Esprit», «Tel Quel»...) iniziando così la sua carriera di pubblicista e saggista che gli meriteranno nel 1977 l'ingresso nel «Collège de France».
Investito da un furgoncino, Barthes muore nel marzo del 1980 dopo un mese d'ospedale, a poco più di un anno dalla scomparsa della madre.
2 L’attività letteraria
L'insieme dei saggi di Barthes appare contrassegnato da una notevole varietà di interessi e da un'estrema versatilità nell'estendere gli strumenti d'indagine del linguaggio verbale al variegato mondo dei sistemi semiologici.
Sin dai primi lavori, a un testo di storia letteraria come Le degré zéro de l'écriture (1953) tendente ad evidenziare il rapporto tra ideologia e modalità d'impiego degli strumenti linguistici, fanno seguito un'analisi dei temi ricorrenti nell'opera di uno storico francese (Michelet par lui-même, 1954) e un insieme di riflessioni tra il sociologico e il semiologico sui «miti» della società anni Cinquanta Mythologies (1963), con l'intento di demistificare da un lato la matrice ideologica dell'immaginario dello storico e dall'altro il processo di condizionamento dell'immaginario collettivo, attuato attraverso la trasformazione dei miti e delle esigenze contingenti di un sistema produttivo in valori universali, ossia attraverso la trasformazione della cultura in natura.
A un’originale lettura strutturale delle tragedie raciniane (Sur Racine, 1963) scomposte in «figure», ossia nelle funzioni attribuite ai personaggi, segue l'anno dopo una raccolta di saggi (Essais critiques), dagli interessi più vari: il romanzo, il teatro, la critica letteraria, la pittura, la cronaca giornalistica offrono occasione a Barthes per stabilire il sotteso rapporto che unisce sia l'opera letteraria che la critica, anche quella che si dichiara oggettiva, alla visione del mondo dell'autore e del critico.
Éléments de sémiologie (1964), il primo lavoro di sistemazione teorica di Barthes, definisce teoria e metodi dell'indagine semiologica, che diventa in Système de la mode (1967) uno strumento di indagine del mondo della moda, primo esempio di applicazione sistematica della semiologia a un sistema significante non verbale.
Nel celebre Critique et vérité (1966) la confutazione degli attacchi sferrati dal mondo accademico alla «nouvelle critique» diventa occasione per la messa a fuoco dei problemi della critica letteraria che deve essere in grado di far decantare la pluralità dei significati insita in ogni opera letteraria, per diventare essa stessa un prolungamento, un'«efflorescenza dei simboli che compongono l'opera».
Val la pena di sottolineare che il contributo originale di Barthes non si esplica solamente nel rigore dell'indagine e nella consistenza dei risultati, ma anche nel taglio stilistico di volta in volta diverso che rende ogni saggio qualcosa di più della semplice dissertazione.
Scorrendo la produzione dell'ultimo decennio possiamo imbatterci ad esempio in un commento (S/Z, 1970) a un racconto di Balzac che diventa più fascinoso dello stesso testo commentato; oppure vedere l'impianto già segmentato de L'Empire des signes (1970) venire privato della progressione semantica, dall'accostamento casuale degli argomenti, suddivisi in paragrafi scanditi alfabeticamente, come nel Plaisir du texte (1973) e nei Fragments d'un discours amoureux (1977) — quest'ultimo un insolito ritratto dell'amore visto come sistema semantico.
Per non dire di Roland Barthes par Roland Barthes (1975) nel quale la sorpresa di trovarsi di fronte al critico che interpreta criticamente i suoi libri è di poco conto rispetto allo sconcerto suscitato dalla molteplicità dei generi letterari impiegati (saggio, autobiografia, diario, romanzo) e dalla frantumazione delle loro consuete strutture.
Tra le altre opere da menzionare - Sade, Fourier, Loyola (1971), Leçon (1978), Sollers écrivain (1979) – l'ultimo libro pubblicato da Barthes ancora in vita — La chambre claire. Note sur la photografie (1980) — trasforma il saggio critico in un racconto autobiografico.
3 L'originalità di Barthes
Il nome di Barthes è legato ai più fecondi fermenti culturali del secondo Novecento diventandone una delle figure più rappresentative.
Non s’intende sottolineare in questo contesto l'originalità del contributo teorico, l'efficacia della strumentazione tecnica o le suggestioni esercitate sul rinnovamento della letteratura e della critica — del resto ampiamente riconosciuti e sottolineati — quanto l'effetto più ampio indotto dall'opera di Barthes nel contesto culturale del secondo Novecento.
Intellettuale impegnato a sinistra, sensibile alla «musica di figure, di metafore, di pensieri-parole» suscitati da una costellazione che si estende dall'avventura intellettuale dell'esistenzialismo sartriano, alla sobrietà delle figure di Brecht, alle teorie di Marx, alla linguistica di Saussure, al rapporto tra soggetto e linguaggio di Lacan, all'«antica supremazia dell'io» (R. Barthes, La camera chiara, Einaudi, 1980, p. 10) di Nietzsche, Barthes ha avuto nei confronti della cultura e del ruolo dell'intellettuale un atteggiamento che per molti aspetti può essere accostato alla figura di Calvino.
Il culto dell'esattezza, la lucidità autoanalitica estesa al sistema ideologico di appartenenza, il rifiuto dell’oggettività assoluta, la versatilità, l'ampiezza degli interessi, la tensione sperimentale e la dimensione etica della pratica letteraria, l'impegno nel neutralizzare l'anamorfosi di miti ed illusioni, caratteristiche che bene possono descrivere il temperamento di Calvino, hanno informato la ricerca di Barthes, i cui risultati travalicando l'angusto ambito degli addetti ai lavori, sono diventati una chiave di lettura del contesto culturale più generale.
La demistificazione della dimensione asettica del linguaggio e delle sue modalità di trasmissione estesa dallo stesso Barthes ai sistemi significanti non verbali, ha permesso di smascherare i processi occulti con cui la società e gli interessi che la governano costruiscono luoghi comuni, falsi idoli, apparati mitologici fuorvianti e universalizzano il contingente rendendolo ovvio, naturale, in-significante.
E tanto maggiore è l'incidenza dei persuasori occulti il cui raggio d'azione sta invadendo ogni ambito della vita individuale e collettiva, compresa la dinamica politica, tanto più attuale diventa la strada praticata da Barthes.
4 La chambre claire
Nota sulla fotografia è il sottotitolo di quest'opera, l'ultima di una certa estensione pubblicata da Barthes prima della morte.
Attraverso un processo quanto mai singolare — l'innesto della componente affettiva sul filone gnoseologico, il particolare come strumento di conoscenza dell'universale — La camera chiara si propone di ricercare ciò che rende la Fotografia unica, diversa dalle altre immagini.
Concepita in forma narrativa, densa di riferimenti autobiografici la cui progressione affettiva connota le citazioni letterarie, le riflessioni filosofiche, le osservazioni semiotiche La camera chiara giunge a un primo approdo nella distinzione tra «studium» e «punctum», tra l'interesse generico, lo studium che provo per l'immagine fotografata e ciò «che, partendo dalla scena, come una freccia, mi trafigge».
È il punctum lo specifico della Fotografia, il crinale tra il to like dello studium e il to love del punctum, tra il piacere generico e la passione del sentimento.
E attraverso una fotografia della madre morta, una fotografia di quando era bambina, Barthes con l'ammirata sorpresa del Narratore proustiano del Tempo ritrovato giunge a svelare l'essenza della Fotografia: «la scienza impossibile dell'essere unico». In quella fotografia materna Barthes scopre l'essenza della madre non in quanto figura, ma come essere singolo irripetibile unico. Nella affermazione dell'unico e dell'irrepetibile sta lo specifico della Fotografia. L'effetto della Fotografia «non è quello di restituire ciò che è abolito (dal tempo, dalla distanza), ma di attestare che ciò che vedo è effettivamente stato» che quell'essere unico «è stato sicuramente, inconfutabilmente presente, e tuttavia è già differito» (R. Barthes, La camera chiara, Einaudi, 1980, pp. 83 e 78).
5 Mathesis singularis
Di fronte alla difficoltà di reperire lo specifico della Fotografia, l'essenza o il «genio» che la distingue «dalla comunità delle immagini», Barthes assume come criterio preliminare per costituire il «corpus» d'indagine, di prendere in considerazione soltanto le fotografie che esistono per lui.
«Decisi perciò di assumere come punto di partenza della mia ricerca solo poche foto: quelle che ero sicuro esistessero per me. Niente a che vedere con un corpus: solamente alcuni corpi. In questa controversia tutto sommato convenzionale tra la soggettività e la scienza, maturai un'idea bizzarra: perché mai non avrebbe dovuto esserci, in un certo senso, una nuova scienza per ogni oggetto? Una Mathesis singularis e non più universalis? Accettai quindi di prendermi per mediatore di tutta la Fotografia: avrei tentato di formulare, a partire da alcuni umori personali, la caratteristica fondamentale, l'universale senza il quale la Fotografia non esisterebbe» (R. Barthes, La camera chiara, Einaudi, 1980, p. 10).
«Questa scienza dell'unicità d'ogni oggetto che Roland Barthes ha continuamente costeggiato con gli strumenti della generalizzazione scientifica e insieme con la sensibilità poetica volta alla definizione del singolare e dell'irripetibile (questa gnoseologia estetica o eudemonismo del capire) è la grande cosa che lui ci ha – non dico insegnato, perché non si può insegnare né apprendere – ci ha dimostrato che è possibile o almeno che è possibile cercarla» (I. Calvino, In memoria di Roland Barthes, Saggi, p. 486).
Voci correlate
Il castello dei destini incrociati
La presente pagina fa parte di un ipertesto sulle Lezioni americane di I. Calvino e sulle Metamorfosi di Apuleio.